La Stampa, 14 febbraio 2022
Uno choc energetico in caso di guerra in Ucraina
La guerra del gas è già iniziata. Le tensioni geopolitiche fra Russia, Ucraina e Nato stanno spingendo in alto il prezzo del petrolio, ben sopra i 93 dollari al barile, e il piano su cui si sta muovendo la diplomazia internazionale non potrà non tenere conto delle implicazioni sui costi dell’energia. Secondo l’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale), l’Italia è fra i Paesi dell’eurozona più esposti alle turbolenze sul gas naturale, insieme all’Austria. Fattore che potrebbe essere incidere anche sulla ripresa economica, che a causa delle spirali inflattive rischia di essere più disomogenea e fragile del previsto.
I parallelismi con il 1973 sono sempre più numerosi. La crisi energetica che l’Europa sta vivendo ha delle reminiscenze con quella degli Anni Settanta, come rimarca anche la banca anglo-asiatica Hsbc. Ma in questa fase la parte più vulnerabile è l’area euro. Al suo interno, Roma e Vienna rappresentano gli anelli deboli della catena di approvvigionamento di gas naturale. «A gennaio le forniture di gas russe verso l’Europa si sono ridotte del 40% rispetto alle attese, recuperando leggermente (-20%) negli ultimi giorni», fa notare l’Ispi Data Lab, in una nota di inizio febbraio. E lo scenario è in evoluzione negativa. Per ora, sottolinea l’istituto guidato da Paolo Magri, l’Europa è inondata dal Gnl (gas naturale liquefatto). E gli arrivi sono sufficienti a coprire i cali di fornitura da parte della Federazione Russa. Ma gli stoccaggi, e questa è l’allerta, «sono a livelli critici». Alcuni Paesi, dice l’Ispi, «potrebbero comunque non avere gas fino alla fine dell’inverno, e un’ulteriore stretta di Mosca metterebbe l’Ue con le spalle al muro».
Il piano su cui si muove l’Italia è molto inclinato. Tra i grandi paesi dell’Unione europea, rimarca l’Ispi, «l’Italia è di gran lunga il più “dipendente” da Mosca. L’indice di vulnerabilità varia da un minimo di 0 (Svezia) a un massimo di 31 (Ungheria). Su questa scala, l’Italia fa segnare un sostanziale 19. Seconda tra i grandi Paesi Ue è la Germania, che fa segnare un valore di 12, comunque piuttosto elevato. Al contrario per la Francia, che si affida molto al nucleare e alle importazioni di Gnl, l’indice crolla a un valore di 3». Allo stesso tempo, preoccupa anche l’andamento del prezzo del petrolio, che sull’onda delle turbolenze fra Russia e Ucraina potrebbe superare quota 100 dollari, come ravvisato da Goldman Sachs, Morgan Stanley e J.P. Morgan. La soglia dei 95 dollari è stata sorpassata nella seduta di venerdì, ma il ritracciamento è stato repentino. Potrebbe non essere così nella settimana che inizia.
Svariati sono gli analisti che vedono Roma in una posizione poco rosea. Nonostante ciò, secondo Wolfango Piccoli, co-president della società di intelligence Teneo, c’è margine di dialogo. «È altamente improbabile che la Russia o l’Europa vogliano interrompere il flusso di gas naturale in Europa. La fornitura di gas naturale della Russia – e prima di quella dell’Unione Sovietica – all’Europa ha creato un’interdipendenza duratura che è sopravvissuta a molti sconvolgimenti geopolitici, come l’invasione sovietica dell’Afghanistan nel 1979, il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991 e, più recentemente, l’annessione della Russia della Crimea nel 2014. Più e più volte entrambe le parti hanno riconosciuto di avere troppo da perdere a causa dell’interruzione del flusso di gas», dice Piccoli. Inoltre, fa notare, «la rottura dei contratti di fornitura di gas esistenti comporterebbe un danno finanziario, legale e reputazionale per la Russia. Per quanto riguarda l’Europa, è improbabile che le sanzioni colpiscano il flusso di gas naturale».
Allo stesso tempo, Simone Tagliapietra, senior fellow presso il think-tank economico europeo Bruegel di Bruxelles, ha pochi dubbi su chi sia a perdere la partita in caso di rottura totale. «Qualora si dovesse arrivare a una situazione di totale interruzione dei flussi di gas russo verso l’Europa, a farne le spese sarebbe sicuramente l’Europa stessa. L’Europa importa dalla Russia il 40% del proprio consumo di gas e non vi sono oggi possibili sostituti di questi volumi: i produttori di gas come Stati Uniti e Qatar stanno già operando a piena capacità, così come gli altri maggiori fornitori dell’Europa via gasdotto», sottolinea Tagliapietra. Per far fronte ad una eventuale crisi del gas, rimarca l’economista, «l’Europa dovrebbe dunque ricorrere anche e soprattutto a una limitazione della domanda industriale di gas, al fine di salvaguardare il settore domestico». Tale circostanza, conclude, «avrebbe ovviamente implicazioni di vasta portata per l’economia del continente, mettendo a serio rischio il processo di ripresa economica in corso». Uno scenario che, da Roma a Berlino, passando Parigi e Madrid, nessuno vorrebbe veder realizzarsi.