Corriere della Sera, 14 febbraio 2022
Il divorzio tra Sinner e Piatti
Premessa: cambiare coach non è reato, però è una scelta che può provocare macerie, in chi lascia e in chi è lasciato. Sembra esserci la voglia di un ritorno a casa nelle molliche di pane seminate da Jannik Sinner per strada in questi giorni difficili di rottura – civile, ma rottura (c’è un contratto, gli avvocati di mezzo) – con coach Riccardo Piatti, seguire il sentiero conduce in Alto Adige dove tutto cominciò. L’ex tennista oggi manager Alex Vittur, brunicense, classe 1984, miglior classifica n.605, grande amico di Andreas Seppi, è il primo che nota il talento del barone rosso. Tira cannonate ma ancora scia. Siamo al bivio. Hanspeter e Siglinde, i genitori di Jannik, di Alex si fidano, gli chiedono di stare accanto al figliolo che nel frattempo ha scelto il tennis, ne diventa il mentore e l’ascoltatissimo consigliere. Vittur segnala un Jannik 13enne a Massimo Sartori (coach di Seppi), che lo segnala a Piatti, che lo invita a Bordighera. Il resto è storia.
Le notizie di questo periodo sembrano un nastro riavvolto al contrario: in vista del ritorno nel circuito a Dubai, dal 21 febbraio, Sinner si prepara a Montecarlo con l’ex pro Simone Vagnozzi, un tempo allenato da Sartori, che gli fu presentato da Vittur. Come a voler rivendicare, postumo ma non fuori tempo massimo, un diritto di primogenitura sulla scoperta del campione, disposto a lasciare Sesto Pusteria per una vita da globetrotter ma forse mai emotivamente partito dalle sue montagne. Ed è facile (suggestione?), adesso che il figlio ambizioso ha preso le distanze dal padre sportivo, rintracciare qua e là, come chiazze grigie di sterrato in un manto di neve, i segnali di insofferenza di Sinner, niente che lasciasse presagire il grande gelo al ritorno dall’Australia; sembravano tutti momenti di una dialettica tra un ex bambino in avanzamento veloce e un tecnico esperto e autorevole. E invece no.
Jannik ha molto patito le critiche che gli sono piovute addosso dopo il rifiuto all’Olimpiade di Tokyo, scelta tecnica di Piatti, quel bagno di umanità e senso di squadra che poi il n.10 del mondo avrebbe fatto a novembre con la Davis, uno step di crescita fondamentale. Ai più attenti non era sfuggito che a New York, post Giochi e roventi polemiche, alla fine di un allenamento all’Open Usa Jannik aveva reagito stizzito a Piatti, inedita insubordinazione. Lo sfogo rabbioso di Melbourne («Io la testa la uso, ma tu devi stare calmo!»), a gennaio in mondovisione, l’abbiamo visto tutti. E se ora la narrazione della crisi tramanda un’intolleranza totale di Sinner verso Piatti (viaggia troppo poco, non ne condivide la programmazione – lui vorrebbe giocare a testa bassa tutti i tornei, l’altro predilige gli obiettivi-chiave – e, addirittura, certe interviste con la stampa), sarebbe sbagliato sgualcire il buono che questi anni di duro lavoro hanno prodotto e la reputazione di un tecnico che merita rispetto. Di certo ci sono gli allenamenti a Montecarlo (dove Sinner vive) con Vagnozzi e l’attesa dell’annunciazione del super coach: Magnus Norman, ex n.2, 45 anni, già eccellente nel resuscitare Wawrinka, garanzia di serietà. Ma un po’ di amaro in bocca rimane, eccome.