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 2022  febbraio 14 Lunedì calendario

Il piano B di Biden

Joe Biden ha un piano B per evitare la guerra in Ucraina? In apparenza il presidente americano sta cercando di evitare una nuova Kabul, con il suo appello ai cittadini americani perché lascino l’Ucraina, e l’avvertimento che non manderà militari a evacuarli. Il crescendo di allarme della Casa Bianca è anche parte di una guerra delle notizie.
I continui annunci sulla data e le modalità di un attacco russo cercano di destabilizzare i piani di Vladimir Putin. Dietro le quinte accade dell’altro. Voci autorevoli cominciano a immaginare quali concessioni potrebbero placare Putin e inaugurare un periodo di tregua in Europa. Tra i fautori di un compromesso si segnalano l’ex ambasciatore di Barack Obama in Russia; due tra i maggiori think tank strategici ascoltati dalla Casa Bianca; diverse analisi sulle riviste geopolitiche dell’establishment americano come Foreign Affairs e Foreign Policy.
Il punto di partenza è una diagnosi lucida dei rapporti di forze. A fronte degli oltre centomila militari russi schierati sul confine, che cosa oppone l’Occidente? Al di là dell’apparente coesione Nato, la realtà non è confortante. Essendosi legata alla Russia con una dipendenza energetica soverchiante (il 55% del suo gas viene da Mosca), la Germania non è poi così solidale con gli alleati atlantici come si vorrebbe.
La settimana scorsa il neo cancelliere Olaf Scholz ha incontrato Biden a Washington. Al momento di annunciare se un attacco russo segnerebbe la fine del gasdotto Nord Stream 2, Scholz ha fatto una penosa scena muta, che solo gli ottimisti hanno interpretato come un’adesione alle minacce di sanzioni americane. Se una parte della Germania è tentata dalla «finlandizzazione», cioè da una neutralità fra Est e Ovest, a maggior ragione si capisce la riluttanza di Biden. Il presidente americano ha escluso di mandare soldati americani a combattere in Ucraina. Perché dei giovani americani dovrebbero rischiare la vita, mentre la ricca Germania manda solo… degli elmetti all’esercito ucraino? È in questo scenario che il partito del compromesso esce allo scoperto.
Michael McFaul, che fu ambasciatore a Mosca per Obama, sostiene che «solo un grande patto con Putin può evitare la guerra». L’ex diplomatico non è ottimista, considera inaccettabili le richieste della Russia: cioè che la Nato chiuda per sempre le sue porte all’Ucraina, e tolga truppe e armi dai Paesi che vi hanno aderito dopo il maggio 1997. Si tratterebbe di una ritirata atlantica dall’Europa dell’Est, una restituzione di quei Paesi alla sfera d’influenza che fu sovietica. Quelle richieste sono così estreme che possono sembrare «giustificazioni per la guerra, più che basi per un negoziato».
Ma la guerra non è un’opzione facile neanche per Vladimir Putin. Incontrerebbe una resistenza e dovrebbe giustificare massacri di un popolo ucraino che lui stesso descrive come parte della storia russa. McFaul lancia l’idea di un «Helsinki 2», un grande accordo multilaterale che offra garanzie reciproche ai russi e agli europei.
Il richiamo storico è interessante perché il primo accordo di Helsinki avvenne negli anni Settanta, quando l’Urss sembrava in ascesa e l’America in difficoltà. Quell’accordo, stabilizzando l’Europa, non si rivelò un cattivo affare: alla lunga facilitò l’avanzata della libertà a Est.
Sulla stessa lunghezza d’onda si esprime Dmitri Trenin, autorevole analista russo che dirige l’ufficio di Mosca del Carnegie Endowment for Peace. Per lui l’obiettivo di Putin non è conquistare l’Ucraina, ma cambiare gli equilibri nell’Europa dell’Est in senso meno sfavorevole agli interessi russi. È essenziale che rimangano fuori dalla Nato per un tempo lungo Ucraina, Georgia e Moldavia; e vuole fuori dalla portata i missili intermedi Usa. Con questi risultati Putin potrebbe presentarsi trionfalmente alla rielezione nel 2024.
La Rand Corporation, altro think tank ascoltato dal Pentagono e dal Dipartimento di Stato, immagina la creazione di un Consiglio di Sicurezza europeo (Stati Uniti, Russia, Francia, Germania, Inghilterra) garante di un «cuscinetto» di Stati non allineati: le stesse ex repubbliche sovietiche di cui sopra, più Armenia e Azerbaigian. «Cercare consenso – sostiene Samuel Charap della Rand – non è appeasement o cedimento, è pragmatismo». Durante la prima guerra fredda oltre alla Finlandia anche un altro Paese di frontiera, l’Austria, si accomodò in una neutralità fra i blocchi. Non furono soluzioni ideali: Vienna e Helsinki rinunciarono a pezzi di sovranità. A volte ci si accontenta del meno peggio.
Le colombe che suggeriscono a Biden un piano B, non sono destinate per forza a prevalere. A Washington lo schieramento dei pessimisti condanna come un errore la ricerca del compromesso con Putin: secondo i falchi ogni cedimento incoraggerà l’autocrate russo nelle sue pulsioni aggressive, ogni pezzo d’influenza riconquistato da Mosca farà crescere ancora i suoi appetiti.
Le alternative proposte dai falchi hanno punti deboli. In particolare le sanzioni: da una parte farebbero altrettanto danno all’Europa occidentale se si arrivasse al ricatto energetico; d’altra parte spingerebbero sempre più la Russia nella sfera economica della Cina.