la Repubblica, 14 febbraio 2022
San Valentino il sovversivo
L’amore non è mai sbagliato. Lo ha detto Damiano dei Maneskin. Il bello è che San Valentino avrebbe sottoscritto la frase. Perché l’aureolato non è semplicemente il protettore dei fidanzatini, non è un santo per cuori di cioccolato. Ma è il patrono dell’amore di chiunque per chiunque. Senza limiti di genere e di generazione. Con le parole di oggi, un amore queer. E nonostante si faccia di tutto per trasformarlo in un santino zuccheroso, questo antico e simpatico martire del terzo secolo non si lascia ridurre ad una ghiotta occasione di marketing. Lui è molto più avanti. È un rivoluzionario. E il messaggio contenuto nella sua storia è assolutamente contemporaneo. In fondo Valentino da Terni, diventa quel santo che è diventato perché difende una love story proibitissima fra una donna cristiana e un uomo pagano. Che per quel tempo è un amore sbagliato. Un’unione che fa scandalo, proprio come oggi fanno scandalo le unioni gender fluid. Ecco perché San Valentino avrebbe non solo sottoscritto la frase di Damiano ma anche approvato il bacio in diretta tv che il front man della band romana ha dato al suo chitarrista Thomas Raggi nel giugno scorso in Polonia, sul palco del Polsat SuperHit Festival 2021. Perché il gesto della rockstar aveva lo scopo di sostenere i pari diritti per la comunità Lgtqia+. Come dire che ciascuno dovrebbe essere libero di essere chi si sente di essere e di amare chi si sente di amare. E la vicenda di San Valentino ne fa un testimonial dell’amore senza se e senza ma. Un amore che è necessariamente alla pari. E fa fuori i ruoli fissi dell’eros e del pathos, dei sentimenti e dei trasalimenti. Il maschile e il femminile, il cacciatore e la preda, il cavaliere e la dama. Perché l’anagrafe del cuore non rilascia carte d’identità. E non domanda né il sesso né l’età né la religione né la nazionalità. In realtà questo santo ama l’amore a trecentosessanta gradi. Tant’è vero che la sua festa coincide con l’annuncio della primavera, quando i sensi cominciano a risvegliarsi e la natura intera è attraversata da una vibrazione amorosa. Il giorno di San Valentino, infatti, viene istituito nel 496 dopo Cristo da papa Gelasio, per contrapporre la ricorrenza cristiana a quella pagana dei Lupercali. Un rito della natura fremente e sfrenato, con gli uomini che frustano delicatamente le donne per strada per solleticare le loro passioni. E il nome febbraio viene proprio da quei frustini, in latino februa. Da allora Valentino diventa il patrono di ogni amore che a nullo amato amar perdona, chiunque sia questo/a amato/a. Maschile o femminile, umano o animale. E a consacrarlo sono personaggi come Geoffrey Chaucer, il padre della letteratura inglese che ne fa il simbolo dei passerotti in amore, con o senza ali. Ma il carico da novanta ce lo mette Shakespeare nell’Amleto dove la dolce Ofelia dice al principe di Danimarca, “domani è San Valentino, busserò alla tua finestra e diventerò la tua Valentina”. E nei paesi dove si parla la lingua del grande William, ancora oggi si chiamano Valentini sia gli innamorati in carne e ossa, sia i biglietti d’auguri tra partner in love. E sempre in nome del martire dell’amore, nell’Europa medievale nascono le cosiddette corti d’amore. Tribunali femminili che si riuniscono il 14 febbraio per giudicare e condannare le colpe degli uomini. Tradimenti, violenze coniugali, stalkeraggi, promesse mancate, liti fra coppie di diverso sesso ma anche dello stesso. Insomma, gli abusi sessisti commessi in nome di una idea distorta dell’amore. Un MeToo prima del #MeToo. Perché San Valentino viene dal passato ma era già nel futuro.