La Lettura, 13 febbraio 2022
Maddalena degli equivoci
Da uno dei primi scrittori cristiani di lingua greca, Origene di Alessandria (185-282), veniamo a sapere che una delle tante accuse che un importante filosofo neoplatonico di nome Celso rivolge ai cristiani è che hanno creduto alle dichiarazioni di una donna esaltata, coinvolta insieme ad altre da un vagabondo in una grande illusione. L’allusione a Maria di Magdala è evidente. E, d’altra parte, non è del tutto arbitraria se pensiamo che, secondo l’evangelista Luca, gli Undici e tutti gli altri che erano con loro dopo la morte di Gesù considerano l’esperienza visionaria che Maria di Magdala e le altre discepole galilee avevano fatto la mattina di Pasqua un vaneggiamento a cui era impossibile dare credito.
Cleofa, uno dei due discepoli di Emmaus, racconta che sono rimasti sconvolti dalle parole delle donne sulla loro visione di angeli. Anche Marco conclude il suo Vangelo affermando che la reazione all’annuncio di Maria è l’incredulità. Non è facile stabilire quanto tempo ci abbiano messo quegli uomini e quelle donne a elaborare la fede nella risurrezione, ma possiamo fondatamente supporre che la discussione tra loro sia stata accesa e che le discepole di Gesù vi abbiano preso parte con grande determinazione. Maria Maddalena – alla quale sta per essere dedicata una imponente mostra a Forlì – per prima.
Per prima, perché tutti e quattro i Vangeli ce la presentano sempre alla testa di un piccolo gruppo di discepole. Come Pietro viene considerato il portavoce del gruppo dei Dodici, così Maria è alla guida delle discepole che hanno seguito Gesù in tutta la sua vicenda pubblica, dalla Galilea fino alla sua ultima Pasqua a Gerusalemme. Loro sole, perché tutti i discepoli maschi in realtà scompaiono totalmente dalla scena durante i giorni cruciali della passione e della morte del profeta di Nazareth.
Che questa differenza di atteggiamento nei confronti del Maestro possa avere creato frizioni tra i due gruppi non è da escludere, se si pensa che in seguito i Vangeli gnostici, quelli che la Chiesa ha escluso dal canone, mettono in scena un vero conflitto ministeriale di Pietro nei confronti di Maddalena e i primi scrittori cristiani si sono ripetutamente interrogati sulla figura di questa donna, dato che era molto difficile per loro accettare che il Risorto avesse voluto riservare un’apparizione individuale soltanto a lei. Nessun evangelista riferisce infatti di un’apparizione a Pietro, anche se un’eco di essa c’è alla fine del racconto sui due discepoli di Emmaus, mentre della partecipazione alla crocifissione e dell’esperienza della risurrezione da parte della Maddalena si parla diffusamente in tutti e quattro i Vangeli: Maria è sotto la croce, è alla sepoltura e, la mattina di Pasqua, al sepolcro vuoto dove le discepole galilee ricevono il primo annuncio della risurrezione; nel Vangelo di Giovanni, poi, è lei la destinataria dell’unica apparizione individuale del Risorto.
Parlare di lei non è facile. Perché grande è il fascino della leggenda che si è andata costruendo intorno al suo personaggio, una leggenda che però ha ben poco a che vedere con quanto le testimonianze evangeliche ci permettono invece di ricostruire della sua storia. Alcuni anni fa Pierre-Emanuel Dauzat, che conosce molto bene l’antica tradizione patristica e quella medievale e sa quanto entrambe abbiano contribuito alla costruzione di molte leggende su questa donna che hanno fortemente influenzato, oltre alla produzione artistica, la storia della spiritualità cristiana, ha scritto un libro provocatorio fin dal titolo, L’invenzione di Maria Maddalena. Ha così imposto di affrontare seriamente la questione della tensione tra persona e personaggio, perché la retorica teologica e tutti i suoi dialetti hanno fatto della discepola galilea un personaggio artificiale dai mille volti.
La storica Elena Giannarelli sintetizza tutto questo con grande efficacia: «Discepola di Gesù, apostola degli apostoli, mandata da Cristo stesso ad annunciare agli altri la resurrezione, ricca credente, peccatrice pentita, prostituta redenta, confusa con la sorella di Marta e Lazzaro, autrice del quarto Vangelo, sposa o compagna del Signore, madre dei suoi figli e all’origine della dinastia dei Merovingi, evangelizzatrice di Marsiglia, moglie di Paolo, adultera salvata dalla lapidazione, personaggio di spicco della Chiesa nascente in contrapposizione con Pietro, addirittura simbolo della Sapienza: queste sono soltanto alcune delle identità attribuite alla donna di Magdala nel corso dei secoli dal Nuovo Testamento e dagli Apocrifi, da scrittori ecclesiastici e padri della Chiesa, da esegeti antichi e mistici medievali, da leggende popolari e romanzieri di grande successo e pochi scrupoli».
E pensare che tutto questo ha preso le mosse da un equivoco che viene da lontano. A partire dal III secolo si è imposta infatti l’identificazione di tre personaggi evangelici, che nei testi hanno invece ciascuno il proprio preciso profilo: Maria di Magdala, Maria di Betania, cioè la sorella di Marta e di Lazzaro, e la peccatrice anonima perdonata che aveva lavato i piedi di Gesù con le sue lacrime. Dobbiamo a un’omelia di Gregorio Magno questa sovrapposizione che, rilanciata ripetutamente lungo tutto il Medioevo, ha ipotecato l’immaginario cristiano in modo potente ed è difficile da scalzare ancora oggi. Alcuni infatti, pur sapendo che si tratta di un travisamento, preferiscono però ancora avallarlo, dato che è ormai legittimato da secoli di tradizione ecclesiastica latina e, soprattutto, da una esuberante produzione artistica, e consente di non mettere in discussione un immaginario ormai codificato al cui centro c’è la sensualità tentatrice delle donne. L’identificazione della peccatrice con una prostituta e di Maria Maddalena con la peccatrice, perché nel Vangelo di Luca si dice che Gesù l’aveva guarita scacciando da lei sette demoni, ha infatti fatto il resto.
D’altronde, faceva gioco a un mondo cristiano che si andava affermando e istituzionalizzando all’interno dell’impero favorire una progressiva emarginazione delle donne, un loro silenziamento e, soprattutto, una loro esclusione dai ruoli ecclesiastici. Figlie di Eva e destinate a portare il peso del suo peccato d’origine, sul loro corpo si giocava la sfida tra peccato e grazia, tra colpa e salvezza.
Che poi il peccato debba essere sempre quello sessuale è uno stereotipo difficile da sradicare. Ancora oggi. Fa ben sperare il film Mary di Abel Ferrara che si chiude con la scena della partenza di un gruppetto di discepole che lasciano la Palestina per andare al di là del mare, ad evangelizzare l’Europa. E, più recentemente, nel film Maria Maddalena il geniale regista Garth Davis propone una lettura alternativa e del tutto credibile della cacciata dei sette demoni: Maria veniva considerata indemoniata dalla sua famiglia e dalla sua gente perché si rifiutava di sottomettersi alle convenzioni secondo cui avrebbe dovuto sposare un uomo scelto da suo padre e dai suoi fratelli. Niente affatto impossibile, come ci ha ricordato il recente dramma della povera Saman Abbas, la ragazza pachistana messa a morte dalla famiglia perché si rifiutava di accettare il matrimonio combinato da suo padre.
Finalmente, la nostra tradizione latina, dominata dalla figura di una Maddalena sensuale e penitente, comincia a ricongiungersi a quella delle Chiese d’Oriente che da sempre, nella terza domenica dopo Pasqua, celebrano la festa delle mirofore, cioè di quel piccolo gruppo di donne con a capo Maria di Magdala che, portando la mirra per ungere il corpo del Maestro morto, vanno al sepolcro e, per prime, ricevono l’annuncio della risurrezione. Giovanni Paolo II, nell’omelia di una domenica di Pasqua, ha gridato al mondo che è stata lei la prima testimone del Risorto e Papa Francesco l’ha definita «apostola della nuova e più grande speranza» e ha elevato la sua festa liturgica, che la Chiesa celebra il 22 luglio, allo stesso grado delle feste che celebrano gli apostoli. La Maddalena esce così dalla leggenda e torna alla storia.