Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  febbraio 12 Sabato calendario

La Gatteide di T. S. Eliot che scandalizzò il mondo

Sì, T. S. Eliot, l’algido impiegato di banca, il very professional editor di Faber & Faber, amava i gatti. A casa sua i gatti abitavano in colonie felici. Non stupisca: perché oltre che banchiere e editore, Eliot è un poeta. E i poeti, da che mondo è mondo, almeno dall’antico Egitto in poi, si sa che sono attratti dai felini. Più che dai cani, per rimanere nell’universo di animali domestici a noi più vicini. E difatti, mentre sua moglie Vivienne, istrionica e folle, girava per Londra con uniforme fascista e col cane Polly, un elegantissimo yorkshire terrier, Eliot “gattaro” di vocazione stava a casa coi gatti, al centro di un ricco parco di creature feline a cui adora dare nomi speciali. Del genere Munkustrap, Quaxo o Caricopatto, o Bombalorina, o Jelliloruno, interpretando nel nome il carattere stralunato di ciascuno. Anche in questo gesto rivelando la sua natura di poeta, Eliot gioca con i suoi animali e con la lingua nel medesimo istante; ama “nominare”, in ciò svolgendo il ruolo poietico/ poetico di creatore, che nel nome coglie l’interiore essenza di chi battezza. E gli piacciono i gatti “strani”, eccentrici, strambi e misteriosi. Inafferrabili. E imprevedibili. È il suo lato sovversivo che si esprime in tanto amore. Sì che gli amici che lo conoscevano bene non si stupirono, quando nell’ottobre del 1939 apparve per i tipi della sua casa editrice Faber & Faber, Old Possum’s Book of Practical Cats, in italiano Il libro dei gatti tuttofare, una raccolta di stravaganti poesie, che sono la descrizione minuziosa e ammirata del comportamento e della psicologia sociale felina. Si stupirono però i lettori in generale. Ma come: con tutto quello che stava capitando, la Germania che in settembre aveva invaso la Polonia, l’Europa sul piede di guerra, il poeta venerabile, che diciassette anni prima aveva scritto quel poema sublime che è La terra desolata, geremiade sconsolata e criptica della disintegrazione morale e psichica dell’anima europea, che causa e segue la prima guerra mondiale, ora, sull’orlo della seconda, si mette a parlare di gatti?
Un intellettuale della sua statura e autorità morale perde tempo a descriverci con indubbio slancio creativo ben quindici turbolenti rappresentanti della razza felina nella tradizione del puro non-sense all’inglese? Insomma alla maniera di Edward Lear, di Lewis Carroll, di Christopher Smart, il cui libro My Cat Jeoffry, un epos settecentesco sul gatto, Eliot cosiderava l’Iliade della letteratura. Non c’era fin troppo snobimo in tale mossa? In tempi in cui la gente normale si chiedeva come fare a mantenere gli animali domestici, visto che non riusciva a sfamare i propri figli, uno degli uomini più colti e raffinati dell’epoca si metteva a scrivere roba del genere?
La stampa, soprattutto in terra natia, attaccò Eliot per la sua Gatteide: avrebbe potuto «fare a meno di scrivere questo libro» ci fu chi sbottò. Anche se a dire il vero, il successo di vendite contraddiceva tale giudizio assennato. Il libro andò a ruba; vendeva in verità assai più della Terra desolata. La gente voleva distrarsi, pensare ad altro? Oppure, semplicemente affascinò in tempi tanto difficili la libertà spavalda e anticonformista del drappello di gatti tanto bizzarri, tra cui spiccavano tipi assai perversi, dal comportamento senz’altro sconveniente.
O forse, chissà, in quella genia di gatti i lettori riconobbero qualcosa che li aiutava a decifrare il loro presente. Perché in verità, anche se concepito come una lettura rivolta ai ragazzi, questo ineffabile effabile effineffabile libro racconta un universo di tenebre non meno cupo di quello descritto nel poema maggiore. Altrettanto inquietante e desolato è il mood che si respira di fronte al disordine cronico che regna dovunque, alla violenza che emerge alla superficie e la sconvolge, mentre nel rimpianto affoga ogni ottimismo del futuro, intanto che nel più elementare egoismo sprofonda ogni slancio.
In questo senso non è certo un caso che la terra felina di Eliot ritorni in auge proprio all’inizio degli anni ’80 del Novecento, quando Andrew Lloyd Webber decide di portare a teatro Cats, trasformandolo in un musical di eterno successo. Proprio come il 1939, il 1981 è un anno difficile, che si apre con le feroci rivolte di Brixton a Londra, di Toxteth a Liverpool: mai la nazione è stata tanto divisa tra i ricchi, che si rispecchiano in Brideshead Revisited, la serie televisiva che offre allo spettatore lo sfondo di cartapesta dei castelli dello Yorkshire, o quello romantico dei canali di Venezia; e una low middle class impoverita, a cui i mercati fanno promesse di ricchezze che non mantengono, mentre intanto si prepara a governare col pugno di ferro la regina delle regine, Margaret Thatcher. La quale per non far mancare nessun brivido allo spirito imperialista britannico si appresta in quegli anni, se non all’invasione della Polonia, alla guerra per le Falklands.
È un fatto: l’11 maggio 1981 Cats, il musical di Andrew Lloyd Webber apre al New London Theatre di Londra, ambientato in una specie di discarica post- industriale, e i Gatti di Eliot tornano alla ribalta. E poi ancora e di nuovo, ottanta anni dopo la prima apparizione del libro, e cioè nel 2019, torneranno al cinema nel film Cats di Tom Hooper. Con il che splendidamente si dimostra quante cose si possono dire e fare coi Gatti. In ogni epoca. È dunque bene che ogni epoca celebri i suoi Gatti.