Una storia di tante storie. È quella dell’immagine per antonomasia di bellezza e seduzione: la dea Venere per come la conosciamo nelle statue che l’hanno rappresentata nel corso del tempo, oggetto di autentica venerazione mista però a inquietudine, tormento, fino al sospetto di una latente maledizione che perseguita gli esseri umani da quando hanno abbandonato il paganesimo aderendo alla fede religiosa rivelata. Da qui parte l’ affascinante e denso libro di Attilio Brilli Venere seduttrice. Incanti e turbamenti del viaggiatore, nella collana Intersezioni de Il Mulino.
Brilli è il nostro più illustre scrittore di viaggio e questo libro rientra appieno nella sua metodologia di narratore e descrittore incomparabile. Rintraccia così testimonianze e memorie innumerevoli di viaggiatori che nel corso dei secoli sono andati a cercare e incontrare le belle immagini della figura mitologica, di tempo in tempo adorata e temuta. Il libro, così, è diviso in due parti strettamente interconnesse.
Da un lato, con sagacia e dovizia di documentazione trasfusa in un flusso narrativo invero magistrale, Brilli ripercorre le cronache di coloro i quali hanno visto le mitiche statue risorte dalla terra dopo secoli di oblio ricavandone un formidabile impatto emotivo. Come se quelle statue di Venere fossero persone vere e vive che ricollocano i nostri pensieri e i nostri desideri in un’ agognata età felice, inattingibile nel quotidiano riservato dalla sorte a ciascuno di noi.
D’ altro lato lo studioso rilegge e commenta i racconti di quei sovente grandissimi scrittori, tra diciottesimo e ventesimo secolo, che hanno ridato senso e spessore al mito rintracciandone gli aspetti eclatanti e quelli minacciosi.
Ed è proprio qui che si avverte molto forte la differenza di pensiero e di comportamento tra Medioevo e Rinascimento, punto rilevantissimo del libro che riesamina una delle più grandi questioni della storia della cultura dell’Occidente, proprio dal punto di vista del mito greco e romano contrapposto a una mentalità medievale, sulla cui fondatezza, invero, tanti permangono i dubbi e le perplessità della storiografia attuale. Brilli, invece, ci fa capire molto bene quale sia l’origine di tali oscuri convincimenti, riferendosi ai cruciali scritti di Heinrich Heine negli anni Trenta e Quaranta dell’Ottocento là dove il maestro dei Romantici stigmatizza le posizioni di un clero drasticamente e crudelmente dedito alla condanna senza appello del culto della bellezza e della sensualità, volta all’annientamento dell’idea stessa del mito antico. È come se Heine volesse dirci che un Medioevo e un Rinascimento in tal senso sono esistiti veramente, ma non come categorie ipostatizzate e Brilli ne sviscera le conseguenze.
Cita la meravigliosa testimonianza di Maestro Gregorio nella seconda metà del dodicesimo secolo quando arriva a Roma con l’impressione che vi siano concentrate tutte le meraviglie del mondo ma come annichilite e disperse. Eppure vagheggia un tempo che fu aureo e felice ma irrecuperabile per una presunta incompatibilità assoluta tra paganesimo e cristianesimo, come se il paganesimo fosse stato un vero e proprio fenomeno religioso in Antico e non un modo di comportarsi e di pensare attraverso figure simboliche e allegoriche.
Ma già comincia la transizione al Rinascimento. Rinascono dalla terra le statue antiche che la altrettanto presunta furia barbarica aveva paradossalmente come congelato in attesa che qualcuno sentisse l’esigenza assoluta di ritrovarle.
Il mito, e quello di Venere in particolare, è narrazione e ipotesi, mentre la religione della verità non consente la presenza di quelle immagini e della vita che veicolano a noi. Brilli racconta di Lorenzo Ghiberti che parla di una statua di Venere ritrovata a Siena nel Milletrecento. In poco tempo diventa l’emblema della città adorata appunto come una dea fino a che il sospetto che sia portatrice di sventura induce la cittadinanza a distruggerla e a sotterrarne i frammenti in terra fiorentina onde portar male all’odiata rivale.
Sono poi commoventi le storie dei ritrovamenti e del successivo culto delle più celebri statue di Venere ancora oggi esistenti, come la Venere dei Medici o la Venere di Milo. Altrettanto interessante è il contraltare della mitologia nordica culminante nella favola del Venusberg. Cacciata per il sopravvenire del Cristianesimo, Venere si rifugia dentro un monte fatato che potrebbe portare alla dannazione chi vi entra. La si trova nel Des Knaben Wunderhorn di Brentano e von Achim,
stupenda raccolta di leggende pubblicata a partire dal 1805.
Alla fine di quel secolo Maupassant va a vedere la Venere Landolina a Siracusa e ne traccia una immortale descrizione che Brilli commenta da par suo. È la quintessenza del femminile, pensa. La adora e la teme. E cresce il mito negativo della manifestazione funesta nelle pagine eccelse di Prosper Mérimée, Théophile Gautier, fino a Aubrey Beardsley e Henry James.
La storia di Pigmalione ci ammonisce e conforta.