Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  febbraio 13 Domenica calendario

L’importanza dello stylist

«Quel vestito rosa? Semplice: ho telefonato a Ralph Lauren e gliel’ho chiesto». Nel 1999, quando Gwyneth Paltrow ritira l’Oscar per Shakespeare in Love dentro una principesca nuvola baby pink, l’era degli stylist non è ancora cominciata. Adesso l’ex nuova Grace Kelly ammette che non sarebbe più possibile: troppo complicato. Un abito non è soltanto un abito, è un racconto, una scelta identitaria, un dubbio amletico, un affare di Stato.
O un gusto sublime o niente
Zendaya è una vivace ragazza disneyana come tante finché Law Roach, afroamericano di Chicago, lo stylist del momento, non la infila dentro creazioni belle e impossibili come lo scultoreo Balmain visto al Met Gala 2021. E Jennifer Lopez? Rob Zangardi & Mariel Haenn la spalmano di cristalli e poco altro, la avvolgono in centinaia di metri di tulle by Giambattista Valli, esagerano con tutto: mantelli di piume, stampe animalier, cut-out Versace. Risultato: JLo recupera il suo perduto amore, Ben Affleck, e si impone come reginetta nel film di San Valentino Marry me.
Ormai nessuna star chiama direttamente Mariagrazia Chiuri (Dior), Tom Ford o Marc Jacobs. Non senza un brainstorming concettuale, una ricerca di dettagli, abbinamenti insoliti, contrasti. Alta moda e vintage. Insomma, senza stylist, o hai un gusto sublime o non vai da nessuna parte. Infatti se ne sono procurata una i maschi cinematografici più vanitosi e difficili. Ilaria Urbinati (italiana, sì) colora il guardaroba di Eric Johnson (fucsia), Armie Hammer (rosso), James Marsden (righine a spina di pesce), Joel Kinnaman (camicie hawaiane) e grazie a loro nel 2019 sale al secondo posto nella classifica di Hollywood Reporter.
Giovani stylist crescono
Logico che, esaurito il colpo di fulmine per gli chef, molti giovani vogliano diventare stylist, anche se spesso ne hanno un’idea piuttosto vaga (a parte l’evidenza glam: frequentare celebs e tuffarsi nella moda). Dovrebbero leggere tutti L’arte dello styling (Vallardi) di Susanna Ausoni, (la nostra più famosa), e Antonio Mancinelli (giornalista fashionista di lungo corso), breviario indispensabile per chi vuole farne davvero un mestiere. Scoprendo intanto che cosa non è uno stylist. Non è un costumista, un fashion designer, o un personal shopper, e neanche un curatore d’immagine, ma potrebbe essere tutti e quattro, volendo. Deve connettere musica, moda, arte, addirittura filosofia (consigliata la lettura di Georg Simmel), intercettare le tendenze, unire i puntini tra i film d’autore e le serie pop di Netflix, tra Almodovar e Bridgerton, brand sconosciuti e nomi leggendari.
L’arte di saper narrare
Deve avere, elenca Mancinelli, «fantasia, pazienza, empatia, determinazione, essere un po’ manager e un po’ psicologo. Ma soprattutto deve saper narrare. È un Grande Aggiustatore, entra poco prima di una sfilata, guarda 120 pezzi sconclusionati e dà loro un senso». Non è raro che dopo uno show anormalmente brillante di uno stilista mediocre i critici vadano a complimentarsi con chi tira i fili dietro la passerella (sempre meno in incognito). Per dirla con Susanna Ausoni, «il designer decide, lo stylist traghetta altrove, lui è il capitano, lo stylist è la nave». E si specializza. Rende wow le sfilate (show stylist), cura lo shooting per i servizi di moda (editorial stylist), armonizza gli outfit di una pubblicità (wardrobe stylist). Ma il celebrity stylist è forse il ruolo più ambito e visibile. Basta ascoltare le interviste rilasciate durante il Festival di Sanremo: Nick Cerioni parla della poetica di Achille Lauro e Rkomi, Camilla Caré spiega il background motociclistico di Yuman, Giuseppe Magistro illustra le scelte "sostenibili" di Ana Mena, Susanna Ausoni espone le differenze di look tra big come Giusy Ferreri e new entry come il tanto carino Matteo Romano.
La ciliegina fa molto
Ausoni, una pioniera (i nuovi professionisti sono quasi tutti suoi "figli") ha una sola preoccupazione. Che la gonna, lo spacco, la calza e la scarpa siano le uniche cose su cui poi si discute, più del film o della canzone (è successo a Emma Marrone, all’Eurovision Song Contest del 2014). Sbagliato. «Noi dobbiamo valorizzare gli artisti - assicura - la loro musica, il loro recitazione, la loro personalità. Io non sono la torta, sono la ciliegina». Ma che torta sarebbe senza ciliegine?