Specchio, 13 febbraio 2022
Intervista a Massimiliano e Doriana Fuksas
Un passo avanti, un passo indietro, non si sa mai chi dei due stia dove. Parlare con Massimiliano e Doriana Fuksas significa spostare gli occhi e l’attenzione di continuo dall’uno all’altra – «Tu lo dici meglio», «Ma poi mi interrompi e allora parla tu» «Dai dillo tu, com’è che avevi detto?» – e incontrarli nel loro studio romano al Monte di Pietà, in pieno Trastevere, significa essere distratti continuamente da intermittenze di bellezza: i plastici appesi alle pareti, il chiostro rivisitato con il vetro, i tavoli di lavoro, libri, ragazzi e ragazze che passano, video che vengono lanciati «per spiegare meglio, adesso ti facciamo vedere, se no non si capisce».
La sfida di Bibbona
Partiamo dalla fine, dall’ultimo progetto che hanno in cantiere: il borgo di Bibbona, in provincia di Livorno, che diventerà un laboratorio internazionale. «Lì abbiamo una casa in campagna, e il 9 marzo scorso, per il compleanno di Doriana, avevamo deciso di andarci qualche giorno – racconta Massimiliano – Poi c’è stato il lockdown e siamo rimasti». «Eravamo con il nostro computer – continua Doriana - e la prima cosa che abbiamo capito è stata l’importanza di essere collegati, e in molte zone l’Italia non lo è a sufficienza... Si può benissimo vivere in campagna se sei collegato col mondo, ma se sei isolato diventa solo un luogo da cui fuggire... Capito questo, si ritrova tutto il valore di vivere una vita all’aria aperta, non ci siamo mai sentiti così liberi, anche se ogni tanto ci si bloccava il sistema».
Letto e visto negli anni ’70
Stando a Bibbona, prima ancora di capire che si poteva fare un progetto, sono tornate alla mente delle vecchie passioni: «Sì perché la mia architettura esce fuori da letture ed esperienze avvenute fra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta – dice Massimiliano – e una di queste è il libro di William Nolan e George Clayton Johnson La fuga di Logan, che poi nel 1976 è diventato un film che conosco a memoria, fotogramma dopo fotogramma». Racconta una realtà distopica in cui gli esseri umani sono costretti a vivere in una città-bolla governata da un computer centrale, che programma la loro morte all’età di trent’anni facendo loro credere che si tratti in realtà di una "rigenerazione biologica". «I due protagonisti – continua Fuksas – sono in realtà come Adamo ed Eva, e l’esperienza della città è quella della bolla che in qualche modo abbiamo fatto tutti noi durante la pandemia».
«Credo che siamo stati tra i primi, con la prima ondata ancora in corso, a denunciare l’assenza della sanità territoriale – si ricollega Doriana – In quel momento eravamo in contatto con tantissimi professionisti di ogni parte del mondo, e si capiva che il problema era proprio quello di affollare gli ospedali. Si pensava a come isolare i medici, invece il punto era isolare i pazienti». «Una cosa importante ce l’ha fatta capire Ottavio Alfieri, un amico e cardiochirurgo del San Raffaele che in quel periodo era impegnato a Bergamo». Continua Massimiliano Fuksas: «Ci ha aiutato a uscire dall’architettura, perché noi in quel momento stavamo pensando a costruire un oggetto in cui il paziente poteva venire messo e trasportato (tornano le capsule della Fuga di Logan, in un modo o nell’altro) e invece lui ci ha spiegato che no, dovevamo ragionare in modo più immateriale, il paziente andava curato, ma non chiuso».
Che siete venuti a costruire?
E allora Massimiliano e Doriana hanno cominciato a pensare in modo diverso, e i riferimenti sono diventati altri: i condomini americani, ad esempio, «con un piano libero e in comune, dedicato solo alla relazione tra persone, luoghi di attraversamento, non di isolamento».
Dentro la pandemia, dunque, la bolla di Bibbona è sembrata loro un’alternativa possibile, «non come progetto, ma come processo». Quando i Fuksas sono arrivati, tutti gli chiedevano: «ma voi che volete costruire?». «Noi non vogliamo costruire nulla – dicono oggi – non bisogna costruire per forza, vogliamo avviare un’esperienza: per prima cosa faremo partire un laboratorio – basta fare questi luoghi tipo il museo smarrito senza contesto, che finisce solo per dare lavoro a un paio di inservienti che poi rimangono lì da soli tutto il giorno a guardare i muri. Sarà un laboratorio non solo per le persone che vivono lì, ma per farci venire le persone da fuori, gli architetti da Tokyo, i medici da Los Angeles, gli artisti da Berlino. Importante è che ci sia ricambio, un giro di persone che si scambiano idee su come rendere produttivi i territori». Tra l’altro non lontano c’è Bolgheri, «è una zona piena di realtà esistenti, di aziende che hanno bisogno di stagisti internazionali, perché le problematiche ormai sono le stesse in tutto il mondo, per l’Italia il mondo è uno sbocco naturale, non è una cosa esotica».
La lezione cinese
E la dimostrazione è anche in come ci sono arrivati, i Fuksas, a immaginare Bibbona come centrale pulsante operativa: «non è un buen retiro, è una società diversificata che lavora nello stesso momento con diverse generazioni, diversi ceti, diversi livelli». Sì perché ci sono arrivati dalla Cina, dagli anni lontani in cui, come pionieri, sono andati a costruire a Pudong. «Era il 1992 – racconta Doriana, ma lui la interrompe, e lei gli parla sopra e alla fine riprende – I cinesi ci avevano invitato insieme a Richard Rogers, Dominique Perrault e Toyo Ito. Ci misero di fronte a Pudong, una cittadina di 5 milioni di abitanti, in cui all’epoca c’era solo la torre della televisione, strade sgangherate, non c’erano macchine, ma c’era ogni giorno un movimento di 12 milioni di persone e 9 milioni di biciclette senza freni, sì perché all’epoca i cinesi frenavano con i piedi». Le archistar si sono guardate e si sono chieste se non fosse uno scherzo. «Poi però, tranne Toyo Ito che non si è minimamente appassionato, lui è su un’altra scala, diversa, più ridotta, quello spazio per lui era troppo esteso, ecco con tutti gli altri abbiamo cominciato a immaginare, e poi a disegnare e progettare, e poi a costruire».
«Dalla Cina abbiamo capito che si può fare: in un anno e mezzo abbiamo realizzato un aeroporto, dal concorso alla bonifica dell’area fino all’inaugurazione. Ed è proprio uno scatto culturale rispetto all’Italia, dove progetti, progetti ma poi non si sa mai se riesci a realizzare: lì no, se progetti poi lo fai. E il tempo fa differenza, perché se fai passare cinquant’anni dal progetto alla realizzazione, è chiaro che il progetto cambia mille volte, arrivano nuovi materiali, nuove soluzioni, nuove persone. In poco tempo invece tutto quello che hai progettato lo puoi realizzare, la stessa cosa è avvenuta anche alla fiera di Milano, in 26 mesi abbiamo realizzato la Vela, un record per il nostro Paese».
L’immaginazione ha perso
E però il Paese fatica a stare al passo dei Fuksas, e anche questa storia dell’ecobonus lo dimostra. «E’ un’idea sbagliata – dice ancora Massimiliano – fa parte della stessa logica dei navigator, del reddito di cittadinanza, quelle cose una tantum che non risolvono. Parliamoci chiaro: il nostro patrimonio è vetusto, il 70 per cento delle nostre abitazioni hanno più di 50 anni, c’è ancora in giro un sacco di amianto perché non si è scelta la strada del rinnovamento». E qui Fuksas torna indietro negli anni, va fino a Valle Giulia del 1968, storica facoltà di architettura a Roma, quando ci si scontrava e si pensava di vincere. «Alla fine però la corrente culturale storicista ha preso il sopravvento su quella compositiva, e ancora oggi tutto il sistema culturale ti dice che se una cosa ha più di cinquant’anni allora è storia». E invece magari no, o comunque non sempre «c’è la storia bella e c’è la storia brutta, e se un palazzo è brutto non lo salva il fatto che ha cento anni». Ma le facciate rifatte e l’efficientamento energetico sono comunque meglio di niente, no? «Il problema delle facciate, del decoro, non esiste. Oggi i problemi sono altri – e qui è Doriana che parla – e finché pensiamo all’efficientamento energetico come qualcosa che si sovrappone all’esistente, già l’espressione cappotto termico non fa inorridire?, sbagliamo tutto. Adesso bisogna pensare tutto insieme, la costruzione, il rifacimento con la sostenibilità energetica, perché continuare a pensarli separatamente?».
"Scrivo come un pazzo"
Queste cose i Fuksas le dicono, e anche le scrivono. «Ho scritto una lettera al presidente Mattarella e una al Papa, come quei matti che scrivono a tutti - dice Massimiliano ridendo - e poi ha avuto pure senso perché dopo la lettera a Mattarella sono stato invitato agli Stati Generali di Giuseppe Conte quando era presidente del Consiglio. Non so quanto sia servito, ma insomma.. Delle cose le abbiamo pure dette in altre occasioni, su quello che si dovrebbe fare, su come farlo, ma non so se poi queste cose vengano capite o no. Come si diceva in altri tempi, hai sempre l’impressione «che manchi la volontà politica». E infatti quando la volontà politica c’è le cose si fanno, «lo dimostra Bibbona - aggiunge Doriana - che ha visto il sindaco e il governatore Giani in prima linea per approvare il progetto, e infatti adesso lo facciamo, non sono chiacchiere».
Effetto Nuvola
Una delle cose che non hanno potuto fare ad esempio è il nuovo ospedale Spallanzani: «Un peccato, avevamo fatto un progetto bellissimo, che aveva proprio un’idea della cura... basti pensare a cosa è stata la Nuvola per Roma in questo periodo di pandemia (uno dei centri vaccinali più efficienti, nda). E il bello della Nuvola è che è completamente autonoma da un punto di vista energetico, tutto il tetto è fotovoltaico, produce energia... Avevamo un progetto molto funzionale anche per lo Spallanzani, è pronto, ma tra una cosa e l’altra non si riesce a fare».
Mentre sul grande schermo nello studio corrono le immagini dei grandi progetti realizzati – l’aeroporto internazionale di Shenzhen, il megastore di Armani sulla Fifth Avenue di new York – «c’è una scala che attraversa tutto lo spazio e non tocca mai terra» – l’aeroporto di Geledzhnik in costruzione sul Mar Nero – i Fuksas alternano le storie dei loro incontri, serate di tanti anni fa, episodi di vita, gente conosciuta, tutta la vicenda del passaporto lituano che Massimiliano ha ricevuto da poco in ragione di una storia familiare che dal suo bisnonno è arrivata dalla Lituania fino a lui. «Doriana mi prende in giro con questa storia che sono mezzo lituano», «Ma no, è che la racconti sempre, l’avrò sentita mille volte», dice mentre digita un messaggio sul telefonino. «Ci conosciamo da cinquant’anni, stiamo insieme da quaranta e siamo sposati da trenta», dice ancora Massimiliano. «Armani l’ultima volta mi ha detto: prima c’era solo Massimiliano, poi Massimiliano e Doriana, adesso solo Doriana». Lui un po’ scherza, un po’ no. Doriana lo guarda e dice che lui «è un accollo incredibile», e che nessuno lo sa meglio di lei.