il Fatto Quotidiano, 13 febbraio 2022
Ezra Pound in manicomio
Da Lauro De Bosis a Ezra Pound. Ovvero dal letterato italiano, che il 3 ottobre 1931 dal suo aereo fece cadere 400 mila volantini antifascisti su Roma, al grande poeta americano dei Canti Pisani, accusato di essere un sostenitore del nazifascismo e internato per 12 anni nel manicomio Saint Elisabeths di Washington. Tanto l’antifascista precipitato e morto nel mar Tirreno, dopo quel volo, quanto il presunto fascista hanno segnato la storia del Pen (Poets Essayists Novelists) Club, l’associazione internazionale letteraria fondata a Londra nel 1921 da Catherine Amy Dawson Scott e John Galsworthy. Un anno dopo, nel 1922, nacque la sezione italiana grazie a un gruppo che comprendeva De Bosis, Tommaso Gallarati Scotti, Enzo Torrieri, Corrado Govoni e Filippo Tommaso Marinetti. Tra il 1955 e il 1958, poi, il Pen Club Italia, all’epoca guidato da un antifascista come Ignazio Silone, si schierò con altre istituzioni e intellettuali per chiedere che Pound fosse messo in libertà.
Quest’anno cadono sia il centesimo anniversario della creazione del Pen Italia sia i cinquant’anni della morte di Pound, avvenuta a Venezia il 1° novembre del 1972. Una doppia ricorrenza che la rivista del Pen Club italiano, presieduto da Sebastiano Grasso, celebra nel nuovo numero. Tutto ciò secondo la vocazione del Pen, che ha tra i suoi scopi quello di difendere “con tutti i mezzi la libertà di espressione di scrittori e giornalisti perseguitati o minacciati”.
Dieci anni dopo la fine della guerra, il Pen Italia fu in prima linea nella campagna per Pound. Ad animarla fu lo scultore Francesco Messina. Colpito dalla “drammatica prigionia del poeta”, assieme ad Ardengo Soffici, Carlo Carrà e a Giovanni Papini, “si prodiga per chiederne alle autorità statunitensi la liberazione. L’appello – che si unisce a quelli di Eliot, Hemingway, Frost, Auden – serve a tenere desta l’attenzione sull’autore dei Cantos. Il 18 aprile 1958, Pound viene finalmente liberato (anche se definito individuo “non pericoloso ma non guarito”). Un’iniziativa resa possibile anche grazie all’autorevole sostegno del Pen Italia, oltre che della Fondazione del conte Vittorio Cini.
Il critico letterario Vittore Branca, socio del Pen, contattò “Silone e i vertici internazionali del Pen” per perorare “la causa di Pound, magari anche attraverso colloqui privati con l’ambasciatrice americana a Roma, la ‘bella signora’ Clare Boothe Luce”. Seguì un appello di Papini sul Corriere della Sera. Si mossero Diego Valeri, Sergio Solmi e Riccardo Bacchelli, che sotto il coordinamento di Vanni Scheiwiller, redassero un documento inviato all’ambasciata Usa. Un anno dopo la liberazione, Pound fu candidato al Nobel dallo scrittore Johannes Edfelt, presidente del Pen Club svedese. Proposta respinta: “Il poeta era stato propugnatore di idee ‘decisamente in contrasto con lo spirito del Premio’, si legge nei verbali della commissione” del 14 settembre 1959.