il Fatto Quotidiano, 13 febbraio 2022
È uscito postumo il memoir di Antonella Spaliviero
È un romanzo delizioso La compagna Natalia di Antonia Spaliviero. O dovrei dire racconto lungo? O diario? Che importa, quando la letteratura e la vita, la periferia operaia e l’aspirazione giovanile a cambiare se stessi e il mondo, i desideri inconfessabili dell’adolescenza e l’infelicità del vecchio pensionato, le mode pacchiane e la grande cultura si fondono con inaspettata leggerezza? Troppo facile consigliare a quelli della mia età di rituffarsi nel clima di un 68 che arrivava con due anni di ritardo in quel di Settimo Torinese, con gli occhi intimiditi rivolti alla grande città palcoscenico della rivolta studentesca e delle lotte sindacali, filtrato in parrocchia, svezzato dall’inquietudine delle più coraggiose disposte a sfidare i pettegolezzi delle compagne di scuola. Lo consiglio perciò anche a chi è venuto dopo e che voglia condividere il miracolo di un’acculturazione germogliata dove meno te l’aspetti, dove la liberazione si conquista anche sperimentando il dolore.
Il bello è che è accaduto per davvero. La compagna Natalia, difatti, è una gemma tratta dal diario che ogni giorno, dall’età di 13 anni, l’autrice non ha mai smesso di scrivere. Un libriccino snello le cui prime righe furono composte l’ultima notte dell’anno 1968, poi rielaborato con cura fino al 2015, quando purtroppo Spaliviero è morta lasciandolo incompiuto. Ci hanno pensato il marito, il regista teatrale Gabriele Vacis, con l’aiuto della figlia Giulietta, a dargli stesura definitiva, come estremo atto d’amore. Dobbiamo essergliene grati anche perché questo libro narra la storia di come un comune dormitorio destinato alla marginalità, accogliendo gli immigrati necessari alle fabbriche circostanti, possa trasformarsi in un laboratorio culturale d’eccellenza. Proprio così. Perché dal 1974, quando nessuno di loro aveva ancora vent’anni, un gruppo di ragazzi vi darà vita a quel Laboratorio Teatro Settimo che diventerà un riferimento d’eccellenza del nuovo teatro italiano. Di quel gruppo facevano parte, insieme a Vacis e Spaliviero, un’attrice di talento come Laura Curino, lo scenografo Lucio Diana, l’autrice di spettacoli per bambini Adriana Zamboni e tanti altri. Leggendo, ho capito perché Vacis sia rimasto a vivere a Settimo Torinese anche quando lo chiamavano a dirigere Stabili importanti e le sue regie riscuotevano crescente successo. La periferia che si accultura è stata la loro linfa vitale. A cominciare da quando contestavi la prof che ti propinava D’Annunzio per poi scoprire che invece era una seguace della Beat generation. Che l’insegnante di inglese, facendo tradurre in classe The Sound of Silence di Paul Simon, aiutava le allieve in minigonna aspiranti segretarie d’azienda a ridimensionare il mito di Mal dei Primitives. Che i baci con la lingua di Natalia nel sottopassaggio erano delizie e anche i suoi opuscoli marxisti degli Editori Riuniti promettevano un mondo nuovo. Poi, certo, sarebbero venute le delusioni sotto forma di maschi adulti rapaci sebbene compagni.
Confesso, infine, che La compagna Natalia mi ha trasmesso insieme allegria e malinconia perché nel 2017 ho avuto modo d’incontrare, prima al Centro grandi ustionati di Torino, poi a Settimo Torinese dove vive, il destino ben diverso di Concetta Candido, la donna che si diede fuoco in una sede dell’Inps per protestare contro un licenziamento ingiusto e la mancata corresponsione del sussidio di disoccupazione. Anch’io ne feci un libro, e di Concetta sono rimasto amico. Lei ci racconta l’insuccesso di quelli venuti dopo. Ma leggendo le pagine di Spaliviero ci rendiamo conto che tutto è possibile, che la speranza è l’ultima a morire.