il Fatto Quotidiano, 13 febbraio 2022
Biografia di Nancy Brilli raccontata da lei stessa
Dopo i saluti e la ricerca di un posto per sedersi, la priorità assoluta viene dettata da occhi e olfatto ed evasa con una richiesta al cameriere: “Posso avere della pizza con la mortadella?”. Il cibo è importante. “Sta scherzando? Fondamentale. Io mangio, non spilluzzico. Neanche il Covid mi ha tolto il gusto”.
E così Nancy Brilli – una delle femme fatale del cinema italiano, una delle regine dei rotocalchi, con una vita sentimentale (e non) radiografata da foto, scoop, pseudo scoop e storie (“a volte erano solo frottole”) – sorride gaudente davanti alla pizza con la mortadella, con l’espressione di chi pensa: ma chi c’ammazza! “Comunque in questi tre mesi m’è successo de tutto”.
E…
Mi sono pure rotta un piede, eppure sono salita sul palco. Che felicità. Ho pensato: finalmente, dopo due anni professionalmente assurdi.
Si è sentita sola?
Più che altro spiazzata.
Ridimensionata?
No, però penso ai ragazzi usciti dall’Accademia: il rapporto con il pubblico non lo puoi imparare in Dad, non puoi capire le emozioni basandoti sull’online.
Chi le ha spiegato come si costruisce il rapporto con il pubblico?
Il pubblico stesso; (pausa) la mia storia è particolare: da giovanissima sono stata lanciata sul palcoscenico, e non uno qualunque.
Quello del Sistina.
Sì, insieme a grandissimi artisti che di giorno in giorno mi insegnavano i punti cardinali di cos’è uno spettacolo.
Le dispiace non aver frequentato un’Accademia?
No, qualche rimpianto c’è rispetto al centro sperimentale: lì si costruiscono quei legami che poi servono; dopo il provino mi avevano pure preso.
Perché non ci è andata?
Ho iniziato a lavorare e non ho più smesso; (ci pensa) fino al Covid non ho fatto altro che lavorare, per questo mi sono sentita spiazzata.
Mai saltato un anno.
Macché. Sempre su un set o in tournée, scollegata dalla normale quotidianità.
Suo figlio la seguiva?
Sono quella della capanna.
Cioè?
Mio figlio l’ho sempre portato con me: durante il viaggio, o in camerino, costruivo capanne con cuscini, coperte, tende per offrirgli ovunque lo stesso ambiente. Ha compiuto un anno in tournée (arriva la pizza con la mortadella e la Brilli non fa prigionieri. Un po’ di farina finisce sul naso).
10 anni fa il suo naso è stato votato come il più bello.
Ma che dice?
È così.
Per ottenerlo basta cadere a sedici anni dalla moto, dare una bella capocciata per terra, poi per perfezionarlo consiglio di prendere una bella testata a 37 anni da un bambino piccolo; in sostanza: è rotto due volte; (pausa) questo complimento mi stupisce; (altra pausa) due giorni fa ho visto un film con Virna Lisi: lei è la perfezione, la bellezza e con un naso cesellato.
Secondo alcuni critici dovrebbe seguire le orme professionali della Lisi…
(Butta il giù il boccone, respira) Che il destino l’ascolti! Con Virna ho lavorato in molte occasioni: è stata bravissima fino all’ultimo e mi raccontava le sue difficoltà professionali a causa della bellezza.
Così tante?
Non le davano il giusto credito, per questo a un certo punto aveva smesso, fino a quando sono arrivati Lattuada e Vanzina e le hanno permesso di recitare: nonostante la bellezza, accettava di apparire sciatta e con le rughe. È inusuale.
Lei accetterebbe?
Magari; non ho problemi con la mia età, sono gli altri a fartelo pesare professionalmente.
Nel 1988 in Compagni di scuola ha interpretato un ruolo molto più adulto della sua età di allora.
Lì ero coetanea di attori con dieci anni più di me; Angelo Bernabucci anche oltre i dieci; (cambia espressione) lui ci faceva proprio ridere, le sue battute non erano scritte, era proprio così, ed era impossibile ottenere una frase in italiano (storica quella a Fabris: “Guarda com’eri e guarda come sei, pari tu zio!”).
Scovato da Verdone.
La miglior dote di Carlo è quella di saper dirigere gli attori: è rarissima in un regista.
Con il regista-cane come si comporta?
Non ci lavoro.
Con il regista-cagnolino?
Resto nel mio, non vado oltre; (ride) una volta ho abbaiato a un attore-cane, ed era pure uno raccomandato e presuntuoso. Si offese. Oggi ha rinunciato alla carriera.
Prima ha nominato i Vanzina…
Che bello lavorare con Carlo: sapeva esattamente cosa avrebbe girato, come e quando, poi alle cinque tutti a casa. Non sbagliava mai; poi era una persona bellissima.
È stata bollata per aver girato con i Vanzina.
Più che altro per aver lavorato in tv. Mi è stato detto in maniera esplicita.
Quando diventerà regista?
Molto presto.
Teatro o cinema?
(Sorride) Vediamo.
A teatro e al cinema ha lavorato con Proietti.
Era una bomba, un professionista che non cadeva mai nell’errore di dare per scontato qualcosa, neanche all’ennesima replica.
Nell’ennesima replica si nasconde il pericolo.
Capita di sdoppiarsi: mentre uno recita le proprie battute magari pensa al dopo spettacolo, al ristorante e al pesce bono.
Suscita invidia?
A volte sì, ma chi la prova dovrebbe prendersi tutto il pacchetto e non solo il lato specifico.
È mai stata invidiosa?
Da piccola lo ero di tutti, pensavo che tutti stessero meglio di me: vedevo le famiglie, l’allegria, le compagne di classe con i vestiti nuovi. Io avevo nonna e una storia patetica.
Come l’ha superata?
Ci ho lavorato e continuo a impegnarmi.
Il palco l’ha aiutata?
Moltissimo, in primis per l’accettazione; la mia vita sembra la sceneggiatura di un film anni 40: passare dall’anonimato, dai problemi, al cartellone del Sistina è travolgente.
E quando ha visto il suo nome fuori del Sistina?
Non ho provato un’emozione particolare, ero inconsapevole, non avevo idea di cosa stesse capitando. Ero lì. Ero contenta. E mi sentivo protetta.
Era con Montesano.
Allora, con me, è stato molto carino, solo scaramantico come pochi altri: ricordo i ballerini incazzati perché buttava ovunque il sale grosso e loro cadevano in continuazione, soprattutto quando dovevano ballare con gli zoccoli; oppure dava fuoco al lavandino e al water per bruciare i batteri; (pausa) però era bravissimo: per due volte ho rischiato di sbagliare l’entrata sul palco perché ero rimasta a vederlo recitare.
È mai andata oltre il rischio?
Se ho sbagliato? (Cambia tono, ancora colpevole) Sempre al Sistina, durante l’intervallo mi chiamano: “Corra, c’è il maestro che la vuole incontrare”. Io pensavo fosse il mio maestro di scuola. Poco dopo vedo salire le scale un uomo con cappello e sciarpa; si ferma davanti a me e inizia un discorso strano, del quale mi ricordo solo alcuni termini come “grazia”, “tempi comici” e… basta.
Alla fine?
Stava in penombra, dopo ho capito che si trattava di Fellini e solo perché me l’hanno spiegato; insomma, ero talmente frastornata da dimenticare di entrare in scena, fino a quando è arrivato, urlando, Garinei: “Cosa faaaaa!!!”.
Vi davate del lei.
Lo pretendeva: “Non siamo al mercato, ma in palcoscenico”.
C’è mai stato il pericolo di “perdersi”?
L’insicurezza mi portava ad aver paura degli altri, quella che oggi chiamano la “sindrome dell’impostore”: temevo che un giorno potesse arrivare qualcuno e sottrarmi tutto.
Come si risolve?
Anche lì: ci ho lavorato.
Quando ha percepito che era cambiato qualcosa?
Con Italian Restaurant, insieme a Gigi (Proietti), ho visto il mio nome pari al suo: mi è sembrata tanta roba. (Tossisce).
Basta Covid.
No, sono allergica al fumo: prima delle legge Sirchia non potevo andare al ristorante, al cinema, in aereo. Un disastro.
Sirchia è il suo eroe.
Mi ha cambiato la vita. (Ride) Lo so, non è una frase di gran fascino, ma è la verità.
La sua vita privata quanto è stata sotto i riflettori?
Sempre. A volte mi hanno accostata a situazioni improbabili, i paparazzi erano la mia ombra. Tette e culo stra-immortalati. (Si sposta con la sedia e sbatte il piede) Oddio, mi fa ancora male il mignolo e di recente mi si è ruotata una vertebra.
Va in scena sempre e comunque?
Certo! Una sera, era un Capodanno, prima del sipario una collega mi chiede di sistemarle i capelli (arriva Silvia Signorelli, sua amica e ufficio stampa: “Come me li taglia lei, nessun’altra”); avevo preso le forbici, poi le butto sul sedile, le dimentico e mi ci siedo sopra. Quelle forbici si sono conficcate nella chiappa.
Dolore.
Dopo i punti di sutura sono andata in scena.
Sul palco ha mai avuto un vuoto?
No, però ho recitato con un collega decisamente alterato che non ricordava nulla. (Pausa) Disperata, sono arrivata a dargli la sua battuta, ma non reagiva.
Secondo Haber negli anni 80 il vostro mondo era invaso dalla droga.
Certi tipi di stupefacenti accomunano; a quel tempo era qualcosa che univa le persone, ma io ne restavo fuori.
Lei non ha scene di sesso sul set.
Mai girate: ho rifiutato film per questo motivo.
Come mai?
È un mio limite: non riesco a mettere un distacco.
Il bacio è il bacio.
Peggio con le mani addosso: mi imbarazzo.
Vent’anni fa ha dichiarato a Sabelli Fioretti: “Mi serve la gente che mi dice ‘sei bella’”.
Oggi meno, ma ho difficoltà a memorizzarmi come tale; (cambia tono) ho voluto molto essere bella, ne avevo bisogno, perché la mia famiglia è stata veramente punitiva.
Cos’altro ha capito con il tempo?
Che voler sempre salvare il mondo è un atto di presunzione e che nel passato sono stata tonta: non mi sono goduta le piacevolezze di questo lavoro.
Esempio.
Dopo la vittoria del David mi sono tolta le scarpe e sono tornata a casa per mangiare la minestrina.
Niente festa?
Ero stanca. E poi temevo il giudizio altrui: non mi sentivo proprio degna del premio, non avevo ben chiaro di cosa si trattasse; (pausa) eppure l’avevo ricevuto dalle mani di Franca Valeri e Alberto Sordi.
Che le dissero?
Il David era come attrice “non protagonista”, Franca mi accompagnò con una frase molto bella: “Mi raccomando, non sottovalutare i ruoli secondari. Io ci ho costruito una carriera”.
E Sordi?
“Ragazzi’, brava”; Alberto non amava particolarmente i bambini, ma con mio figlio è sempre stato affettuoso, lo ha preso pure in braccio.
Parteciperebbe a un reality?
Mai, eppure me li hanno proposti tutti.
Un talent?
Meglio, però non mi farei mai giudicare da quattro giudici.
Su Instagram ha pubblicato una foto dei suoi piedi: il feticismo è dilagante…
(Viso stupito) Non ha idea di quello che è successo; (pausa) i miei sono microscopici, porto il 36.
Eppure.
Uno è arrivato a inviarmi, per posta, una cavigliera di diamanti; un altro ha montato un film di due ore con tutti i fotogrammi del mio volto e dei miei piedi.
Una bugia si di lei.
Che non ho i capelli.
E invece?
Ne ho per tre persone, ma siccome sono ingestibili spesso indosso la parrucca.
Lei chi è?
Una signora finalmente di sana e robusta costituzione, assolutamente resiliente. (Pausa) Resiliente è un termine abusato che non sopporto più; resiliente ormai è pure il callo di tuo nonno.
Quindi?
Mi piace non essere rigida e aver capito che è una qualità.