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 2022  febbraio 13 Domenica calendario

Pasolini raccontato da Gian Carlo Ferretti

Gian Carlo Ferretti incontrò la prima volta Pier Paolo Pasolini nel novembre del 1959. Lui aveva 29 anni e lo scrittore 37 («Eravamo stati entrambi invitati a una conferenza a Modena e facemmo il viaggio in treno da Milano: io all’epoca lavoravo alla Terza pagina dell’Unità, lo intervistai l’anno dopo, e da lì cominciò uno scambio di lettere, e poi altri incontri, recensioni, saggi critici sul suo lavoro...»). L’ultima volta che si sentirono invece fu poco prima della morte di Pasolini: era l’ottobre 1975 e il poeta gli scrisse per ringraziarlo di una recensione di Scritti corsari uscita su Rinascita («Mi disse che da lì a una settimana avrebbe finito il film su Salò e che avrebbe cominciato una nuova rubrica sul Corriere della sera dal titolo Che dire?»). Ferretti è stato il primo, nel 1964, a dedicare una monografia completa a Pasolini. E oggi, a 92 anni, torna con un nuovo studio: Pasolini personaggio, sottotitolo: «Un grande autore tra scandalo, persecuzione e successo» (Interlinea) che uscirà nelle librerie il 5 marzo, data della nascita, cento anni fa esatti, dello scrittore, regista e polemista. Un saggio ricco di documenti, aneddoti e memorie personali che ricostruiscono una vita e una carriera estrema, eclettica e scandalosa. Che si potrebbe scandire per parole chiave. Quelle che facciamo commentare a Gian Carlo Ferretti.
«Personaggio». Perché Pasolini per Lei è stato il più grande personaggio del nostro secondo 900?
«Perché, a differenza di altri, non è solo un autore che ha un’autorevolezza che gli deriva dall’essere un grande poeta, romanziere, regista e critico, ma al tempo stesso è un intellettuale continuamente compromesso con la realtà. Uno scrittore che segue tutto ciò che succede, che analizza e critica la società e il mondo, che denuncia e provoca, che prova a conoscere tutto ciò che non si sa o che si tace. Pasolini viene attaccato dalla stampa reazionaria e da quella amica e colleziona 33 procedimenti giudiziari. Sembra ci sia un ricorrente e perfetto sincronismo tra la persecuzione e la sfida, lo scandalo e il successo sui media e sul mercato. Tutto ciò fa di lui non solo un grande autore, ma anche un grande personaggio. E l’unico modello precedente, forse, è D’Annunzio».
«Scandalo». Dalle denunce per corruzione di minori nel suo Friuli agli articoli corsari sulla stampa borghese degli ultimi anni, Pasolini ha sempre turbato le coscienze.
«Inizia a Ramuscello, paesino vicino a Casarsa, quando durante una sagra, nel ’49, viene denunciato per atti osceni in luogo pubblico e accusato di corruzione di minori: Pasolini viene espulso dal Partito comunista, perde il posto d’insegnante alla scuola media di Valvasone, deve abbandonare il Friuli, spezza il cuore della madre e fugge a Roma. Lì stringe rapporti di amicizia con molti intellettuali, pubblica opere e film importanti, ma viene attaccato dalla Dc e dai fascisti, è a centro di casi e denunce, fra stampa, magistratura, politica. Alcune volte è vittima: l’accusa più eclatante è di aver rapinato un benzinaio Altre volte compie atti clamorosi, come l’epigramma su Papa Pio XII, che considera un grande peccatore perché non vede la miseria proletaria che ha sotto gli occhi a Roma. Agiva per sfida e gusto della provocazione. Ed ecco ancora il circuito perverso fra scandalo, persecuzione e visibilità mediatica».
«Cristo». Dalle poesie L’usignolo della Chiesa cattolica alla morte-martirio a Ostia, la sua vita è una citazione del Cristo.
«In qualche modo sì. In questo senso è insieme martire innocente e artefice del proprio martirio. Ha visto? In copertina del mio libro ho voluto il murale dell’artista Ernest Pignon-Ernest raffigurante Pasolini con in braccio il proprio cadavere... Pasolini scriveva: Bisogna esporsi, questo insegna il povero Cristo inchiodato in croce. E lui da intellettuale in fondo faceva lo stesso. Pensiamo al poemetto La crocifissione. Lui vede in Cristo qualcuno che incarna una diversità e insegna a esporsi per testimoniare lo scandalo e per provocarlo. Ecco qui uno dei motivi ispiratori dell’opera e della vita di Pasolini».
«Intellettuale». Pasolini lo è per statuto.
«Per antonomasia. Il Pasolini che viene più ricordato e più riconosciuto, ancor oggi, è il Pasolini corsaro. Cioè una figura di intellettuale combattente, critico, disvelatore dei guasti della società e delle ingiustizie, uno scrittore che denuncia tutto ciò che lui vede come involuzione della società: il consumismo, l’omologazione, la perdita del sacro Negli ultimi anni di vita i pezzi che scrive con grande clamore sulla prima pagina del Corriere della sera danno scandalo non solo fra gli avversari ma anche tra gli amici. Basta pensare al suo No alla legalizzazione dell’aborto, gli attacchi al Palazzo, la proposta-provocazione di abolire la tv e la scuola media È soprattutto questa la figura-personaggio che rimane. Non era solo un poeta ma un artista armato. Che si scagliava contro post-fascisti, clericali, comunisti contro tutti».
«Lascito». Le sue cose migliori?
«Pasolini è eccessivo in tutto, sia nei comportamenti sia nella sua produzione, che è sterminata: scrive su tutto e tantissimo. Nel 1998 si calcolava fossero 20mila le pagine che ci ha lasciato. Ne deriva che tra i cristalli ci siano anche delle scorie. Parlando delle singole opere, io credo che la narrativa sia la sua parte più debole, anche se Ragazzi di vita è un romanzo sperimentale importante. Come poeta invece è quasi sempre grande. Nel cinema, Accattone e il Vangelo sono film che restano, e forse Porcile. Ma Pasolini è anche un grandissimo critico, geniale, che ha lasciato testi straordinari. E poi, naturalmente, c’è il Pasolini eccezionale giornalista degli Scritti corsari e delle Lettere luterane».
«Successo».
«In vita lo ha ottenuto qualsiasi cosa facesse. Al provocatore e perseguitato, si deve aggiungere anche il personaggio pubblico, il tessitore di relazioni e amicizie, e anche il narcisista. Era ovunque: nei dibattiti, in tv, nei premi letterari, nei festival, nei giornali. Comunque, presso il grande pubblico il successo maggiore glielo diede il cinema, soprattutto la Trilogia della vita. Per non dire dei pezzi giornalistici».
«Sessantotto». Lo ha amato o odiato?
«Tutte e due le cose. Il suo pamphlet in versi Il Pci ai giovani!! fu frainteso perché uscì su l’Espresso col titolo Vi odio, cari studenti, e diede al dibattito una direzione sbagliata Ed è vero che provocatoriamente Pasolini dichiara che negli scontri fra studenti e polizia lui sta dalla parte dei poliziotti, che erano per lo più figli di operai e di contadini, e di essere invece contro gli studenti, figli di borghesi. Ma in realtà quando rinfaccia agli studenti di fare una lotta interna alla borghesia stessa, dice anche che invece di rinnovare la borghesia, che è irredimibile, devono andare nelle sezioni per rinnovare dall’interno il Partito comunista. E poi, dopo quella poesia, Pasolini darà molti giudizi anche positivi sul movimento studentesco. Del resto, lui rivendicò sempre le sue contraddizioni».
«Religione». Non era certo cattolico, ma aveva un forte sentimento del sacro.
«Che per lui risaliva al mondo contadino, a quell’eresia dell’innocenza che trova di volta in volta incarnata prima nei fanciulli contadini friulani, poi nel sottoproletariato urbano e tra i ragazzi di vita, quindi nei popoli del Terzo mondo Cambiano le reincarnazioni, ma il mito dell’innocenza, una sorta di religione eretica, resiste sempre. Non si può eliminare, ma solo seppellire. E infatti nel film Teorema, del ’68, la serva, una semplice contadina che simboleggia il sacro emarginato dalla borghesia e cancellato dal neocapitalismo, si seppellisce. Ma così il sacro non si distrugge. Resiste sempre. Anni fa lessi che in Australia accadeva che alcuni nativi, in un certo giorno dell’anno, andassero all’interno di un supermercato a pregare, perché lì sotto, dicevano, era sepolto il sacro. Sopravviveva persino nel tempio del consumismo. Cosa che a Pier Paolo sarebbe piaciuta».
«Petrolio». Tra poco uscirà una nuova edizione. Era giusto pubblicare un romanzo incompiuto?
«Sì, perché è stato pubblicato nel ’92, ben 17 anni dopo la morte di Pasolini: è trascorso tutto il tempo necessario per elaborare un testo filologicamente attendibile. Il distacco temporale garantisce anche una certa distanza critica. Certo, si tratta di un romanzo incompiuto: è un laboratorio in fermento, dove si esce e entra continuamente, è come se non finisse mai, difficile alla lettura, ma troppo importante per lasciarlo in un cassetto. Il famoso capitolo mancante, che si dice sia sparito? Mi fido della nipote, Graziella Chiarcossi, custode delle carte pasoliniane: se lei dice che non esiste, le credo». 
«Morte». Fu un delitto a sfondo sessuale o politico?
«Non me la sento di dire se fu uno o l’altro. Ma credo, comunque sia andata, che si sia trattato di un delitto che ha implicazioni politiche. Attorno a Pasolini c’era un clima di persecuzione e di odio: è in questo quadro che avviene l’omicidio, e non se ne può prescindere. Se preparò lui stesso la propria morte? No, quello no... D’altra parte stiamo parlando di uno scrittore-personaggio complicato e contraddittorio, rispetto al quale si può sostenere qualsiasi tesi. Forse è più ragionevole vedere in quella morte la conclusione fatale, non cercata ma inevitabile, della vita estrema di chi fu insieme un intellettuale carismatico e un bersaglio predestinato».