Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  febbraio 13 Domenica calendario

La battaglia degli stipendi

Dalle scintille al muro contro muro. L’inflazione fa da detonatore e sul rinnovo dei contratti esplode lo scontro tra sindacati e imprese. Di fronte all’aumento del costo della vita la ricetta che propone il presidente di Confindustria Carlo Bonomi per innalzare subito i salari passa infatti attraverso «contratti di produttività», «addizionali al contratto nazionale», da siglare in ogni singola impresa. Sia il segretario generale della Cgil Maurizio Landini che il leader della Uil Pierpaolo Bombadieri nei giorni scorsi avevano invece spiegato che nel momento in cui l’inflazione corre verso il 5% è impossibile pensare di rinnovare i contratti utilizzando come parametro l’Ipca (indice prezzi al consumo armonizzati), perché questo indice non tiene conto dei costi dell’energia. In una intervista rilasciata ieri al Corriere della sera Bonomi ha contestato questa lettura dando il via allo scontro. «Non è così – ha dichiarato – il prezzo dei beni energetici c’è ma viene spalmato nel tempo per evitare che scarti bruschi come quello attuale rendano l’indice ballerino».Dal palco dell’assemblea organizzativa che si è conclusa ieri a Rimini Landini ha risposto a muso duro al presidente di Confindustria definendo «inaccettabili» le sue parole. «Non siamo contro la contrattazione aziendale – ha osservato il leader Cgil – ma se non sono i contratti nazionali che tornano ad avere autorità salariale questo vuol dire accettare la riduzione dei salari, rinunciare alla contrattazione nazionale vuol dire programmare la riduzione del potere d’acquisto». Stesso risultato, aveva segnalato giovedì, nel caso si continuasse a calcolare gli aumenti utilizzando il parametro dell’Ipca. «Mantenere quell’indicatore – aveva spiegato – significa in realtà determinare la riduzione del valore reale dei salari, e per questo va cambiato; non farlo significa svuotare il valore dei contratti nazionali di lavoro».Su questo i sindacati non sembrano disposti ad arretrare. Landini da tempo punta il dito contro la «pandemia salariale» citando il crollo della massa salariale che si è registrato in Italia nell’ultimo anno (-7,2% contro il -2,4% di media europea) e le oltre 2 milioni di famiglie, per un totale di 5,6 milioni di persone, che si trovano in condizioni di povertà assoluta. Bombardieri, il primo a porre la questione dei rinnovi in una fase di inflazione montante, a sua volta ha già chiarito di essere pronto ad aprire una stagione di conflitto e a ritirare il Patto della fabbrica che dal 2018 regola le relazioni sindacali.Tutt’altri toni quelli usati ieri dal segretario generale della Cisl Luigi Sbarra secondo il quale «oggi bisogna costruire le condizioni per un dialogo costruttivo con il governo e le controparti private, per un grande patto sociale, sia a livello nazionale sia a livello regionale e territoriale, in modo da aprire una stagione di riforme economiche e sociali, per una nuova politica dei redditi, tagliare le tasse a lavoratori e pensionati, cambiare le pensioni, controllare le tariffe pubbliche, promuovere l’incremento della produttività e la sua redistribuzione nei salari».Per Bonomi per «invertire la frenata dell’economia in atto e rafforzarla nel medio e lungo periodo» il Paese si dovrebbe concentrare su quello che il presidente di Confindustria ha definito «riformismo competitivo».Anche questo passaggio dell’intervista non è piaciuto a Landini. «Le riforme non devono essere competitive, ma redistributive. Quello che manca nel mondo del lavoro non è certo la competitività, anzi ce n’è pure troppa – ha commentato –. Di Vittorio ci ha insegnato che un compito fondamentale del sindacato è impedire che le persone che per vivere devono lavorare debbano competere tra di loro perché quando avviene questo siamo di fronte a una guerra tra poveri e a una riduzione dei diritti, non a una crescita generale».La partita dei rinnovi contrattuali non è di poco conto: stando all’ultima rilevazione dell’Istat al 31 dicembre scorso erano 32 le intese scadute ed interessavano circa 6,4 milioni di dipendenti, pari al 52% del totale: 3 nell’industria, 14 nei servizi privati, 15 nella pubblica amministrazione. Non solo si allungano i tempi medi dei rinnovi, passando dai 20,9 mesi di gennaio 2021 ai 31,3 mesi dello scorso dicembre, ma le statistiche mostrano che l’erosione del potere d’acquisto dei lavoratori è già in atto da mesi: nel 2021, infatti, le retribuzioni orarie sono cresciute in media dello 0, 6% mentre l’indice dei prezzi al consumo è cresciuto in media dell’1, 9 ovvero tre volte tanto. A dicembre poi l’indice dei prezzi è schizzato a +3,9% (+3,5% la stima per l’intero 2022), dato che rende certamente impervio il confronto tra le parti sociali.