Corriere della Sera, 13 febbraio 2022
Le favole cattive di Emma Dante
C’era una volta Cenerentola, maltrattata dalla matrigna e dalle sorellastre, ma ben presto la buona Fata punirà la matrigna trasformandola in un mastino napoletano e le sorellastre in due zecche. C’era una volta Biancaneve, ma i sette nani erano invalidi di lavoro, avevano perso le gambe a causa dell’esplosione in miniera, perché Pisolo si era addormentato e non li aveva avvertiti in tempo. C’erano una volta Scarpette rosse che, nella fiaba reinventata da Emma Dante, ispirata a quella originale di Hans Christian Andersen, diventano Scarpette rotte. L’opera debutta in prima assoluta il 19 febbraio al Teatro Bonci di Cesena nell’ambito della personale che l’Ert-Teatro Nazionale dedica alla scrittrice e regista siciliana fino al 29 aprile. Il programma comprende anche altre due sue fiabe: Gli alti e bassi di Biancaneve e Anastasia, Genoveffa e Cenerentola.
«Le mie favole non sono mai una rassicurante edulcorazione della realtà – afferma Emma Dante – semmai la rivalsa di chi è versato, umiliato… Non sono dunque delle semplici storie a lieto fine ma delle denunce civili e sociali nei confronti delle ingiustizie e discriminazioni».
Perché «Scarpette rotte»?
«La vicenda inizia in un cimitero, dove una giovane orfana povera, Celine, è accucciata sulla tomba di sua madre. Non sa dove andare, non ha più niente, nemmeno le scarpe. Di là passa una ricca signora che decide di adottarla. La ragazzina si ritrova così in una villa circondata dal lusso e riceve in dono anche delle belle scarpette rosse… Celine le indossa subito e comincia a camminare, ballare, saltare… e ben presto si tramuteranno in scarpette rotte, sbiadite, bucate… Alla fine torneranno a essere rosse e brillanti. Ho scritto questa favola durante il lockdown: eravamo chiusi in casa e avevo voglia di raccontare qualcosa che avesse a che fare con il cammino… un paio di scarpe che ci portassero fuori dalla clausura… dalla paura».
Le fiabe hanno a che fare col mito e con le nostre paure…
«Certo. Ci insegnano a superare le nostre paure. A me piace rivisitare fiabe conosciute, per partire da una morale già assodata e costruire verità nuove, inventare nuovi codici etici che abbiano tuttavia a che fare con la nostra realtà attuale».
Quali erano le fiabe che Emma amava da bambina?
«Pinocchio. A mio avviso è la capofila di tutte le fiabe e, per questo, finora non mi sono mai cimentata nel reinterpretarla. È la più difficile da trasformare in una nuova formula».
Che bambina è stata Emma Dante?
«Ero timida, introversa, non capricciosa, né tantomeno monella, molto ubbidiente e rispettosa. In un certo senso, mi mantenevo sempre un po’ in ombra… strano a dirsi… tutto il contrario, decisamente l’opposto di quella che sono poi diventata. Non ricordo molto dei giochi che amavo fare da piccola… me ne viene in mente solo uno, molto strano».
Quale?
«Mi divertivo ad andare in salotto e a infilare la testa sotto al cuscino del divano, per poi veder filtrare la luce che entrava dalla finestra …era come se quella luce fosse magica. Immaginavo che da quella scia luminosa dovessero apparire delle fate e che avrebbe avuto luogo un incantesimo».
Dunque, in nuce, esisteva già la futura autrice e regista...
«Direi proprio di sì. In qualche modo si nasce predisposti al gioco scenico. Il divertimento preferito dei bambini è l’invenzione di personaggi… in pratica recitano dei ruoli. E se è vero che la scuola deve formare il futuro cittadino, il teatro-ragazzi è un contributo fondamentale alla crescita».
Si può considerare una fiaba anche «Misericordia», l’opera teatrale che ora sta per diventare film?
«Assolutamente sì. Anna, Nuzza e Bettina sono tre prostitute che vivono in una stamberga, Hanno bisogno di guadagnare per allevare un ragazzo menomato. Grazie alla loro misericordia il ragazzo si salverà».