Corriere della Sera, 13 febbraio 2022
Biografia di Valentino Bompiani
«Come faremo senza il nostro conte editore, conte scrittore, conte commediografo... senza il suo esempio di integrità di fronte agli impegni e il coraggio di fronte alle scoperte letterarie?» scriveva sul «Corriere della Sera» Fernanda Pivano all’indomani della morte di Valentino Bompiani, il 23 febbraio 1992. A trent’anni di distanza il panorama editoriale è completamente mutato ma la lezione di uno dei grandi protagonisti della cultura italiana del Novecento, con quel misto di «signorilità, gusto, rigore e determinazione» (come lo definisce Giancarlo Ferretti nella sua Storia dell’editoria letteraria in Italia 1945-2003, Einaudi), è forse più necessaria che mai.
Bompiani iniziò come segretario di Arnoldo Mondadori, poi venne chiamato a dirigere la casa Unitas e licenziato per non aver voluto pubblicare I promessi sposi riscritti da Guido da Verona. Così nel 1929 fondò il suo marchio e, in via Durini, a Milano, ebbe inizio la lunga avventura del Conte (era di famiglia nobile e di tradizione militare) che lo portò a pubblicare gran parte della letteratura contemporanea italiana prima e dopo la Seconda guerra: Alvaro, Bontempelli, Brancati, Vittorini, Piovene, Zavattini, Ortese, Savinio e, naturalmente, Moravia. E poi gli stranieri: Cronin, Steinbeck, Caldwell,Gide, Camus.
Alcuni di questi nomi erano appuntati sul foglio trovato tra le sue carte dopo la morte, «Addio agli amici»: una lista di vivi e di morti, di famosi e sconosciuti, dai quali l’editore, novantenne, prendeva congedo. Tra loro c’era anche Mario Andreose che aveva cominciato a frequentarlo nel 1982, quando diventò direttore editoriale del Gruppo Fabbri Bompiani Sonzogno Etas. Bompiani aveva venduto la casa editrice dieci anni prima: «Non era nemmeno più presidente onorario, però aveva il suo studio, con i mobili antichi, i tappeti, le foto dei suoi autori alle pareti, proprio come quando era in carica» racconta Andreose. «Per me era una vicinanza emozionante, la memoria storica, più che del catalogo, delle esperienze, anche perché a lui piaceva raccontare: era il mio archivio vivente. Veniva in ufficio due o tre volte la settimana, dettava qualche lettera perché aveva ancora corrispondenti, autori che si rivolgevano a lui. Averlo vicino per me è stato un regalo: a volte bussavo, parlavamo del più e del meno, magari gli raccontavo le cose che facevamo, come quando portai alla Bompiani Sciascia, dopo averlo corteggiato un paio d’anni. Valentino aveva una grande passione per la grafica, la considerava fondamentale per il successo di un libro e ogni volta che preparavo una cedola andavo da lui con il copertinario e glielo sottoponevo».
Bompiani, ricorda Andreose, ascoltava volentieri le notizie sulla casa editrice, anche se non era più sua. «Una volta l’ho visto colpito, come se fosse una cosa che ancora lo riguardava. Era una domenica mattina, andai da lui e gli dissi: “Ha visto la classifica della narrativa italiana? Primo Andrea De Carlo, secondo Pier Vittorio Tondelli, terzo Enrico Palandri. Bompiani, Bompiani, Bompiani”. Sentire pronunciare in quel modo il nome che continuava a vivere nel nuovo corso della casa editrice lo emozionò».
Con Alberto Moravia
«Aveva recuperato “Gli indifferenti”, uscito a spese del padre dell’autore. C’era un legame forte e difficile»
«Editore protagonista» (così si definì), Bompiani costruì un catalogo personalizzato pubblicando quasi esclusivamente libri che piacevano a lui. «Agli scrittori dava la sicurezza di avere un dialogo alla pari, offrendogli anche il servizio dell’editore. Loro lo ritenevano un interlocutore attendibile, un consanguineo, perché della loro letteratura, e spesso della loro vita, era partecipe» continua Andreose. Con molti aveva un rapporto di affetto, come testimoniano gli epistolari: «Con Corrado Alvaro, con Alberto Savinio a cui lo legava una vera affinità, anche se non ebbero un grande rapporto editoriale. Ma sopratutto con Vitaliano Brancati, che aveva una vita un po’ sbalestrata, non sapeva gestire bene certe cose e lui gli faceva da fratello maggiore. Tra gli stranieri direi Camus e Steinbeck, anche se, in un certo senso, l’autore di Furore era stata una seconda scelta per non aver potuto prendere Faulkner». Andreose ricorda che dopo la guerra Valentino era andato da Gallimard, a Parigi, ed era tornato con i contratti di Camus, Sartre, Saint-Exupéry nella borsa. «Pubblicò Il piccolo Principe in quella che è ancora la migliore traduzione, di sua moglie Nini Bompiani. In seguito, per ragioni politiche, aveva abbandonato Sartre e si era tenuto Camus».
Una cosa a parte era il rapporto, pur di grande fedeltà, con Alberto Moravia: «Era molto difficile, conflittuale. Moravia lo chiamava”el sciur padrun da li beli braghi bianchi”, mentre Nini Bompiani quando andavamo a cena a casa loro diceva di Moravia: “Sempre a chiedere soldi”. Era una relazione indispensabile e fisiologica, erano diversi e complementari. D’altronde era stato Valentino a recuperare il primo libro, Gli indifferenti, pubblicato da Moravia a spese del padre, ma sopratutto a prenderlo da Mondadori quando, dopo il flop del secondo romanzo, lo trattava un po’ a pesci in faccia. Il loro è stato un rapporto fortissimo, ma senza affetto». Nel 1986 gli piacque molto la collana dei Classici: «Ero pressato per dare Moravia ai Meridiani, non volevo farlo, così mi inventai quella collana che, nel 1986, esordì con le Opere di Moravia, Yourcenar, Eliot. Chiesi ad Antoine Gallimard i due volumi della Pleiade di Marguerite Yourcenar, i cui libri in Italia erano dispersi, poi l’edizione di Camus e di Saint-Exupéry. Lui ne fu molto felice».
Con Umberto Eco il rapporto nacque attraverso Filosofi in libertà, il libretto che la Nave di Teseo ha appena ripubblicato. «Gli capitò tra le mani, lo divertì e disse: ma chi è che scrive questa favolette filosofiche?» ricorda Andreose. «Ottiero Ottieri, che lo conosceva, glielo presentò. In quel momento Umberto stava alla Rai ma si annoiava, non aveva ancora iniziato la carriera accademica e accettò la proposta di Valentino di andare a lavorare in Bompiani. Era il 1959 e ci è rimasto 17 anni, prima di avere una cattedra in università. Allora tutti chiamavano Bompiani Conte, Umberto decise di chiamarlo zio Val, come facevano i nipoti Mauri».
Gli epistolari
«Scriveva a Savinio, Alvaro Tra gli stranieri, a Camus e Steinbeck. Con Brancati era un fratello maggiore»
L’editore era anche un uomo di teatro «e questo, allora, anche per i romanzieri, era molto importante, quasi un titolo di nobiltà. Aveva il gusto del teatrante, anche nelle sfuriate: “Se c’è una cosa che non sopporto è la cialtroneria” diceva con l’enfasi della drammaturgia. Oppure quando doveva interrompere una cosa, con la voce che andava a salire: “Eeee no”. Per lui fare il suo lavoro era stare su un palcoscenico. Ma l’eleganza, nel senso più ampio del termine, è sempre stato un tratto di distinzione unico, anche rispetto a tanti suoi colleghi».
***La storia di un uomo, della casa editrice che ha fondato e che ha intrecciato il suo destino a quelli di tanti volti della scena letteraria italiana e non solo. Si chiama Bompiani Story. Valentino Bompiani, avventure di un editore il libro che Luca Scarlini ha dedicato alla figura dell’editore, a trent’anni dalla scomparsa. Ne firma l’introduzione Ginevra Bompiani, editrice, scrittrice e traduttrice, figlia di Valentino. Il libro esce per Bompiani il 23 febbraio (pp. 240, e 17). Scarlini, saggista e drammaturgo, ha scavato negli archivi cartacei e digitali e ha raccolto testimonianze per ricostruire la figura del «Conte» Valentino e la genesi della sua casa editrice, i rapporti con gli autori italiani e stranieri, le scelte che lo hanno portato al centro della scena editoriale.