Corriere della Sera, 13 febbraio 2022
Sul giardino dei Finzi-Contini
«Il giardino dei Finzi-Contini» compie sessant’anni, e dimostra che il tempo è giusto: con i libri e con le persone. Il romanzo di Giorgio Bassani è magnifico, ma ha un problema: molti lo danno per letto, magari perché hanno visto il film diretto da Vittorio De Sica. È il destino di molti capolavori, da Seneca a Gadda, passando per Dante Alighieri e Ugo Foscolo. Ne abbiamo sentito parlare così tanto – o ce li hanno imposti a scuola – che li citiamo senza conoscerli: ok, Seneca parlava di amicizia, Foscolo di cimiteri e Dante, be’, lo sappiamo.
«Il giardino dei Finzi-Contini» rientra nella categoria. Anch’io l’ho scoperto l’estate scorsa, tirandolo fuori dalla libreria di mia madre (edizione 1962, un nudo sdraiato in copertina): ero convinto d’averlo letto, e non era vero. Ne scrivono e ne parlano in molti, in occasione del compleanno. Annalena Benini (ferrarese, e si sente) su «il Foglio»; Giorgio Montefoschi su «7»; la nostra Micol Sarfatti, che dalla protagonista ha preso il nome. Tutti cercano di capire: perché questo libro è ipnotico?
La vicenda è nota. Attorno a uno straordinario personaggio di ragazza – l’inafferrabile Micòl – si muove la vita dell’alta borghesia di Ferrara, negli anni Trenta, alla vigilia delle leggi razziali. Una famiglia ebraica, una grande casa, un giardino, un campo da tennis, attese e rituali, sinagoghe e ristoranti, genitori laconici, amici milanesi, camere da letto. Lo scatto avviene vagando tra questi elementi. Diverso, per ogni lettrice e ogni lettore.
A me hanno colpito i luoghi. Il giardino dei Finzi-Contini contiene tutta la bellezza, la malinconia, la provvisorietà della grande pianura del Po. A Ferrara e a Parma, a Mantova e a Pavia, a Cremona e a Crema sogniamo in verde d’estate e in grigio d’inverno. Colori meno clamorosi del bianco del nord, del rosso del centro e dell’azzurro del sud: difficile raccontarli a chi non li conosce. Ci sono riusciti Attilio Bertolucci e Luca Guadagnino, al cinema. La casa di campagna di «Chiamami col tuo nome» non è uno sfondo: è la protagonista. Così avviene nel «giardino dei Finzi-Contini». È come se certi posti dicessero: voi passate, noi restiamo.