Corriere della Sera, 13 febbraio 2022
Intervista a Paolo Conte
Paolo Conte, qual è il suo primo ricordo privato?
«Un’aria di Giuseppe Verdi che, incantandomi, mi ha fatto cadere dal cavallo a dondolo, semisvenuto».
E il suo primo ricordo pubblico?
«La notte in cui, finita la guerra, sono ritornate le luci nelle città. La racconto in una canzone, “Nottegiorno”».
Che memoria ha della guerra?
«Una nostra giovane cameriera, di Boves, aveva tre fratelli partigiani. Tre volte una sua vicina di casa le telefonò a casa nostra per comunicarle la fucilazione. Mi ricordo dei frammenti di dialoghi: “Dove lo hanno colpito”, “Ha sofferto?”, “È morto subito?”. Una cosa tremenda».
Fenoglio o Pavese?
«Pavese. Anche se, da astigiano, prendo un po’ le distanze dal suo linguaggio. È un discorso tra indigeni».
Coppi o Bartali?
«La storia dello sport non può che dare la palma a Coppi, il campionissimo. Ma se il naso di Coppi era futurista, aerodinamico, quello di Bartali era più “umano”, condivisibile».
Come entra nella sua vita la musica? Nel bellissimo film biografico, suo fratello Giorgio racconta di un’orchestra messa insieme pezzo a pezzo, con la grancassa rubata all’oratorio… lei suonava davvero il vibrafono?
«Ho suonato prima il trombone, poi il pianoforte, poi il vibrafono. Ho anche rappresentato l’Italia nel quiz radiofonico internazionale ad Oslo in Norvegia…».
Quanto arrivò?
«Terzo».
È vero che odiava la fisarmonica?
«La fisarmonica a quei tempi mi sembrava uno strumento troppo popolano, legato al ballo liscio. Solo dopo ne ho scoperto la dolce poeticità»
È vero che a scuola era un disastro?
«Solo in un anno: mi sono preso sei materie ad ottobre. Avevo dimenticato di andare a scuola per rincorrere la musica».
Gelato al limon è dedicato a sua moglie Egle: «Donna che stai entrando nella mia vita…». Come vi siete incontrati?
«All’epoca eravamo già innamorati e sposati. Non è una canzone nata con intento seduttivo».
Tutti pensavamo che Benigni scherzasse quando cantava «mi piace la moglie di Paolo Conte», invece dal film pare che gli piacesse davvero…
«La bellezza di mia moglie è irresistibile».
Da dove viene l’immagine della Topolino Amaranto? Ne ha davvero posseduta una?
«Mai. Però ci sono salito, sulla Topolino. Piccola e molto bella».
Come nasce Azzurro? Andava davvero all’oratorio, oltre che per rubare la grancassa?
«All’oratorio ci andavo da “esterno” per giocare a football, non per rubare grancasse».
È vero quel che si racconta nel film? Che lei depose il testo di Azzurro nella bara di sua madre?
«Sì, è vero».
E che sua madre aveva pianto quando aveva letto le parole?
«Sì. Mia madre diceva che questa canzone era antica e moderna insieme. L’antico era soprattutto nella musica, come una tenerezza d’altri tempi, e proprio in questo sentimento risiedeva anche la sua modernità: era una canzone trasgressiva nell’epoca beat in cui è nata. Capimmo subito che era una canzone vincente. Rimane una canzone importante per me e non l’ho mai dimenticata».
Lei ha scritto pure la musica de «La coppia più bella del mondo». Pensava davvero a Claudia Mori e a Celentano? «Il vero amore per sempre unito dal cielo» fu letto come un verso contro il divorzio…
«Ma io ho scritto solo la musica; con le parole non c’entro. Ero a Roma a dare l’esame di Stato quando arrivò il telegramma di mio fratello: “Probabile Celentano”… Ho saputo, a cose fatte, che con quel testo si festeggiava l’ingresso nel Clan di Claudia Mori».
Com’è il suo rapporto con Celentano?
«Celentano è nato il 6 gennaio 1938, esattamente un anno dopo di me. Affinità elettive? Chi lo sa?».
Pupi Avati nel film confessa la sua invidia: «Paolo Conte è bello, piace alle donne». Jane Birkin la trova sexy, Patrice Leconte la paragona a Mastroianni…
«Tutte balle».
È vero che al Théatre de la Ville e all’Olympia non canta la strofa sui «francesi che si incazzano»?
«Non ho mai cantato “Bartali” in Francia. Mi offrirono il privilegio di invitarmi e fu un successo lusinghiero, in un certo senso mi hanno adottato. Nelle mie canzoni non ho mai voluto far passare delle idee particolari. Quello che mi ha sempre interessato è raccontare l’uomo che nel dopoguerra si è rifatto una vita, ma anche quello dei fallimenti. Ai falliti ho offerto una tazza di caffè fumante».
Appunto: chi è il personaggio che ricorre nelle sue canzoni, l’uomo del Mocambo?
«L’uomo del Mocambo è il prototipo dell’uomo del dopoguerra nella frenesia della rinascita, che aveva sogni più grandi delle sue possibilità economiche. Un simpaticissimo eroe perdente».
In uno spezzone si vede Monica Vitti che nel 1982 a Blitz accenna una sua canzone mentre lei suona il pianoforte…
«Ricordo che la canzone era “Avanti, bionda”. Ma non ricordo altro…».
Come fu il suo esordio sul palco?
«Il mio primo vero concerto forse è stato quello di Verona, organizzato da Enrico De Angelis. Eravamo nell’hangar di una vecchia funivia ristrutturata. Durante le prove avevo posato in terra una bottiglia d’acqua minerale. Entrando poi in scena, nel buio, le ho dato un calcio e si è rovesciata in platea».
Disastro.
«Grande successo».
Come mai non ha mai smesso di fare l’avvocato?
«Ho smesso sì, da tantissimi anni».
Le fece piacere o la infastidì quando Dalla e De Gregori rivisitarono, senza avvertirla, Gelato al limon?
«Francesco mi corse incontro per chiedermi scusa. Ma no! Io ero contentissimo. Del resto l’esecuzione era in perfetta linea con lo stile del loro disco Banana Republic».
Lei sostiene che Jannacci – per cui compose Messico e Nuvole — è stato il nostro cantautore più grande. Perché?
«Mi basta il suo verso “si vedeva anche da lontano che non mi volevi più bene”».
Via con me è una fuga d’amore? C’è una storia dietro?
«“Dietro” una canzone ci può essere di tutto. Solo l’autore sa».
Può risolvere almeno il giallo di Onda su Onda? Il protagonista è scivolato in mare dalla nave o l’hanno spinto?
«Mi piace lasciare aleggiare il mistero».
«Nel tempo fatto di attimi e settimane enigmistiche…». Lei è davvero appassionato della Settimana Enigmistica?
«Fin dall’infanzia. Ma niente parole crociate; solo i giochi che contengono l’«enigma», cioè i rebus e le crittografie. Di questi giochi ne ho creati anch’io, alcuni pubblicati su riviste specializzate. Che goduria!».
Quanto conta invece la pittura? Perché dipinge?
«Come perché? Perché mi piace. È un vecchio “vizio” nella mia vita, più antico di quello per la musica. Ho un mio stile, le mie tecniche».
Il successo popolare arriva per lei negli Anni 80. Il decennio del riflusso, all’epoca molto criticato a sinistra, oggi rivalutato. Lei che ricordo ne ha?
«Sono stato ospitato nel novero dei “cantautori” perché apparivo, nel mio modo di scrivere e di interpretare, un artista “alternativo”, parola molto in voga a quel tempo».
Cosa votava nella Prima Repubblica?
«Vengo da una famiglia di opinioni liberali. Resto fedele ad uno dei grandi insegnamenti morali che mi ha lasciato mio padre: non iscriverti da nessuna parte, neanche alla bocciofila».
C’è un politico che ha ammirato?
«Non ci capisco niente di politica».
Come ha passato la pandemia?
«In campagna, isolato e protetto».
Nel film si sente lei che canta in napoletano, applauditissimo dai napoletani. Per un piemontese non è scontato. Cos’è Napoli per lei?
«Napoli è la patria di capolavori musicali e poetici trascendentali».
Ha avuto una vita felice?
«Direi fino ad ora che sì, ho avuto una vita felice».
Come immagina l’Aldilà?
«Spero in un bel sonno».