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 2022  febbraio 13 Domenica calendario

La Farnesina richiama gli italiani di Ucraina

Odessa «Di Schettino, ce n’è stato uno solo: io non me ne vado». Affrettandosi per le strade alberate e i palazzi Art Nouveau, Attilio Malliani ci tiene a dire che lui, no, non sbarca da una nave che non è ancora affondata. L’ambasciata a Kiev gli ha appena girato le poche righe della Farnesina: tutti gl’italiani in Ucraina rientrino «in via precauzionale», e lo stesso faccia «tutto il personale della nostra sede diplomatica a Kiev non essenziale». Alle tre del pomeriggio, Malliani scrolla la rubrica del telefonino: 180 nomi ufficiali, a Odessa, molti di più se si considerano quelli che non si registrano per mille motivi, talvolta inconfessabili. Riunione d’emergenza, il piano d’evacuazione da applicare. «Non sarà una cosa semplice: come rimpatriamo chi non ha soldi, oppure chi ha moglie senza passaporto italiano? L’Ucraina è fra i Paesi in zona rossa Covid…».
Di sicuro, la maggioranza non se ne andrà, né da Odessa né dall’Ucraina. E allo stesso Attilio non passa per la mente: «Ho 53 anni, sono qui da venti. Mia moglie è di Odessa, i miei tre figli pure. Sono un calabrese odessita. E poi ho un ruolo: faccio il consigliere del sindaco per gli affari esteri…». Molto più d’un ruolo: Malliani conosce tutto e tutti, non molla niente e nessuno. «È in queste situazioni che si vede chi ha sangue freddo. Non credo ci sarà un’invasione, come tutti se l’immaginano. Ci sarà, forse, un intervento limitato. Però è vero che l’aria sta cambiando, s’è fatta più soffocante. E bisogna dare una mano».
Il primo campanello è stato quello d’un messaggino, la mezzanotte di venerdì. L’ambasciatore Pierfrancesco Zazo che domandava agl’italiani in Ucraina – duemila ufficiali, tremila o forse più quelli reali – di farsi localizzare. Il preambolo di quel che sarebbe stato annunciato poche ore dopo: «Lasciare il Paese con i mezzi commerciali disponibili». Non un obbligo, dalla Farnesina, semmai un pressante invito. Come per americani e inglesi, israeliani e giapponesi. Ci si è arrivati dopo una riunione del sabato mattina di tutti i rappresentanti dei Paesi Nato, spinta dall’ambasciatore Ue (un estone) assieme a tedeschi e francesi: per ora è una guerra ibrida, s’è detto, dal 20 febbraio non sappiamo che guerra sarà, la proposta è di convincere gli europei ad andarsene…
I nervi
Chi sta a Kiev e pensa al Donbass, è come chi vive a Tel Aviv e guarda alla Striscia di Gaza: una cosa lontana. La guerra non si sente, la vita è quasi normale. La mia sensazione è che non sarà una guerra di bombe, ma una guerra di nervi. Vince, chi li ha più saldi
Proposta accolta: «Una notizia scioccante, non me l’aspettavo così presto – commenta Alberto De Marco, che da sei anni fa affari in Ucraina —. Rientrerò in Italia per una decina di giorni, vedrò quel che succede. Ma una cosa è certa: se i russi arrivano a Kiev, io tornerò». Più cauto Tony Corradini che lavora all’Ice, l’Istituto italiano per il commercio con l’estero: «Sto valutando la situazione. La mia famiglia è già in Italia, io ho del lavoro da finire. Non vedo molti elementi per scappare. E m’immagino che congestione ci sia, in aeroporto, per i voli verso l’Europa» (vero, l’abbiamo constatato di persona).
Un po’ perché fino a ieri il governo Zelensky ha cercato di raffreddare la tensione, un po’ perché percepire la reale situazione sul campo è complicato, l’Italia in Ucraina non s’è desta con la paura dei russi al confine. Anche se la macchina dell’evacuazione, comunque, s’è messa in moto. L’ambasciata italiana rispedisce immediatamente a casa i familiari dei diplomatici (pochi) e il personale non essenziale. «Abbiamo condiviso subito l’annuncio della Farnesina sulla chat degli italiani all’estero…», racconta Stefano Antonioli, trevigiano, 45 anni, mezza vita trascorsa qui, moglie ucraina. E che cos’avete deciso? «Che io resto. Mio figlio lunedì va a scuola. Non m’impressiono. Ci andava anche la mattina del 18 febbraio 2014, quando dai tetti spararono sulla folla di Maidan: la sua aula era a poche centinaia di metri da là…».
Antonioli è lo chef italiano più famoso del Paese: il sabato mattina cucina in diretta tv, la sera al suo «Fenix» dà da mangiare a tutta la Kiev che conta, il Gambero Rosso gli ha dato due forchette. È tranquillo: «Chi sta a Kiev e pensa al Donbass, è come chi vive a Tel Aviv e guarda alla Striscia di Gaza: una cosa lontana. La guerra non si sente, la vita è quasi normale». Non ha dubbi: «Sono di qua, lavoro qua. Dove vado? La mia sensazione è che non sarà una guerra di bombe, ma una guerra di nervi. Vince, chi li ha più saldi».