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 2022  febbraio 13 Domenica calendario

Intervista con Katy Perry

EW YORK – «Benvenuti nella Perry Playland!». Dietro un sipario caraibico, in collegamento via Zoom dalla “Terra dei giochi”, ci sorride Katy Perry, la popstar dei record. 50 miliardi di stream, 48 milioni di album e 135 milioni di singoli venduti. «Per molto tempo una voce dentro me mi ha fatto credere di non essere abbastanza. Non sai davvero chi sei finché non finisci giù per le scale della vita», confessa. Gambe disposte a croce, occhi verdi, una maglia di lana stretta tra il ginocchio e un divanetto in pelle che dà al corpo la forma di una falce di luna. 40 milioni di utenti ogni mese ascoltano le sue hit – I kissed a girl, Teenage dream, Roar – su Spotify, seguiti da un numero atomico di follower (152 milioni su Instagram). Con Last Friday night, Katy è diventata la prima donna, e la seconda artista dopo Michael Jackson, a piazzare cinque canzoni di un album al numero 1 della Billboard Hot 100. La sua missione è «fare pop con uno scopo» e continuare a sorprendere, dal cinema (presta la voce a Puffetta nel film I Puffi) ai talent (è giudice in American Idol), passando per un tour stabile (in gergo, “residency”) in quella città da “paura e delirio” chiamata Las Vegas. Una “residency” di successo al Resorts World di Las Vegas, “Play”, che torna a marzo. Come si trova nella terra dell’azzardo, accanto all’angelo-fantasma di Elvis Presley? «Vegas è una tela bianca, una fabbrica dell’immaginazione. L’ho ribattezzata Perry Playland, un parco giochi per una che vive sempre nella sua testa, come me. Il Nevada è più vivo e multietnico che mai, fra i mega alberghi-casinò è miracolosamente riuscito a diventare una piramide di autenticità. La mia anima giocosa e infantile si sente accolta qui. A chi non piace un po’ di fuga dalla realtà...? Las Vegas rappresenta la quintessenza dell’evasione, un one-stop-shop dove puoi spendere tutti i soldi che ti sei sudato e fare cose davvero pazze». Si può ancora “diventare qualcuno” in America? «Solo se ci si evolve e si guarda avanti. Non a caso, oggi Las Vegas è la città della “residency” per eccellenza, una nuova piattaforma per gli artisti della mia generazione, in un’industria che cambia continuamente, senza pietà». Preferisce il deserto urbano o il mondo futuristico del suo ultimo videoclip, “When I’m gone”? «Ho chiamato la regista Hannah Lux Davis a dirigermi. Le ho detto: “Voglio apparire così: sexy e cool. Diamo ai fan ciò che desiderano”. Sono una persona visiva, amo sognare ad occhi aperti e abbandonarmi alla fantasia. La mia musica electro-pop è cinema allo stato puro, va vista e ascoltata in grande: la première della mia collaborazione con il dj Alesso è avvenuta durante il College Football Playoff National Championship Game, l’equivalente di un Super Bowl, dove in passato ho cantato tra fuochi pirotecnici, tigri giganti e squali-ballerini». Le piace ancora provocare? «Ogni cosa che faccio è autentica. Nel 2017 ho pubblicato l’album Witness, più sperimentale, fuori dai sentieri battuti. Il risultato ha diviso. Sono comunque grata di aver avuto il coraggio di mostrare una Katy diversa. L’estasi, per un artista, è che la sua arte faccia il giro del mondo. Cerco di crescere per diventare una persona migliore, non sono la stessa donna di due giorni fa. Nessuno sa mai cosa combinerò e questo mi diverte. La provocazione arriva comunque dalla musica. È un sentimento viscerale, fatta di brividi sul braccio e di emozioni rimaste sopite che all’improvviso si risvegliano. Sono nata feeling-centric (sentimento-centrica). Il “sentire” è la mia stella del Nord. Senza, sarei morta». Dal 2008 non ha mai smesso di esibirsi, poi ha scelto di lavorare sul suo male oscuro, la depressione, trascorrendo una settimana in una clinica. Cosa l’ha salvata? «L’amore. Alla fine, ruota tutto attorno all’amore. Non ho mai smesso di cercare l’amore incondizionato. Ora mi trovo in un luogo mentale dove la pace esiste e questo lo devo anche alla nascita di mia figlia (Daisy Dove, ndr) e al mio compagno, Orlando (Bloom, ndr). Con loro ho creato un equilibrio che mi ha cambiato la vita». Come sta la sua fede? «Sono cresciuta con dei genitori “cristiani rinati”, a casa la mia infanzia faceva rima con Gesù. Con la Bibbia – la parte d’amore e inclusione della Bibbia – ho un bel rapporto, altrimenti non potrei essere ambasciatrice dell’Unicef e sostenitrice dei diritti Lgbtq+». Dopo questi ultimi due anni, siamo agli inizi di una nuova era? «Gli uomini e le donne sono nati con una dose di empatia nel sangue, che lo si voglia o no. Sta a noi esplorarla. Io mi diverto se tutti attorno a me si divertono e stanno bene. Traggo gioia nel vedere la gioia riflessa sul viso di altre persone. Quando entro in una stanza, la prima cosa che faccio è sentire l’atmosfera, leggere i pensieri degli altri. Mi dico: “Vediamo, qui, chi ha bisogno di amore?”. È la vibrazione più alta. Un cerchio bellissimo. Da popstar so di avere l’abilità di non spezzare mai quel cerchio. È un superpotere che intendo proteggere fino alla fine dei miei giorni».