la Repubblica, 13 febbraio 2022
Partiranno anche contingenti italiani
ROMA – Anche l’Italia è pronta a inviare nuove truppe per contribuire a rafforzare il confine Sud-Est dell’Europa. La chiave è quella di alzare ulteriormente le misure di deterrenza per fronteggiare l’escalation di Mosca. Si tratta di un battaglione di un migliaio di uomini – reparti di fanteria corazzati – che potrebbe essere schierato in Ungheria. E non è esclusa una presenza italiana anche in Bulgaria. Roma ha già dato disponibilità a partecipare alle eventuali decisioni che saranno assunte nei prossimi giorni dalla Nato. A patto, ovviamente, che ci sia il via libera dei Paesi “ospitanti”: una luce verde formale che ancora manca. «Nessun nostro alleato venderà la pelle al posto degli ungheresi – ha detto ieri Viktor Orbán – Nato o meno, non c’è nessuno che difenderebbe il Paese per noi». Il battaglione italiano è stato informalmente preallertato. Il governo ungherese, che da giorni ragiona dell’opzione con i vertici dell’alleanza atlantica, continua a essere cauto e sarebbe comunque orientato a mantenere la guida dell’eventuale Battlegroup. Questo scenario, comunque, comporterebbe la riduzione dell’impegno italiano a 250-500 soldati. Altrettanti uomini, quindi, potrebbero essere schierati in Bulgaria. Manca in ogni caso ancora la decisione ufficiale, che dovrebbe arrivare al più tardi durante la riunione ministeriale della Nato, prevista per il 16-17 febbraio a Bruxelles. All’incontro prenderà parte anche il segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Lloyd Austin. Il quale avrà modo di confrontarsi anche con il ministro della Difesa Lorenzo Guerini. L’amministrazione di Joe Biden ha chiesto agli alleati – l’ultima volta nel corso della telefonata tra i leader Nato di venerdì sera – un rafforzamento dell’impegno lungo il confine orientale. In questa chiave, Washington ha annunciato l’invio di tremila nuove unità in Polonia. E la Francia si appresta a spedire mille soldati in Romania. Un impegno al quale neanche l’Italia si sottrarrà. Trattandosi di una nuova missione, servirà però un passaggio davanti alle Camere, chiamate ad autorizzare in sede parlamentare l’intervento. Ieri, intanto, Giorgia Meloni ha chiesto all’esecutivo di farsi mediatore per una soluzione pacifica. E lo stesso ha fatto Matteo Salvini: «Evitiamo una escalation militare». «Lavoriamo tutti – ha assicurato il ministro degli Esteri Luigi Di Maio – per evitare un’escalation e tenere aperto un canale diplomatico con Mosca». È la linea del governo italiano, che tenterà fino all’ultimo di favorire il dialogo. Lo ha ribadito venerdì sera Mario Draghi, dopo la telefonata di Biden: accanto alla deterrenza, confronto aperto con Mosca per dare attuazione agli accordi di Minsk. Il quadro, però, resta delicato e preoccupante. E spinge la Nato a programmare l’invio di battaglioni lungo il confine sud-orientale. Un orientamento che era già anticipato, almeno nelle sue linee guida, nell’audizione che il ministro Guerini ha tenuto martedì scorso davanti alle commissioni Difesa delle Camere. In un passaggio, in particolare, Guerini sosteneva: «Sono in valutazione alt re possibili misure da adottare» nella riunione ministeriale Nato del 16-17 febbraio, dove «si discuterà, in particolare, l’opportunità di dare seguito alla proposta di prevedere una presenza stabile anche nei paesi del fianco Sud-Est dell’Alleanza, in analogia a quanto in atto in Polonia e nei Paesi Baltici e di aumentare l’offerta di assetti aerei». Si tratta, appunto, di Ungheria, Bulgaria, Romania e Slovacchia. Come è noto, l’Italia contribuisce in misura rilevante allo sforzo dell’alleanza. In Lettonia – visitata venerdì dal titolare della Difesa – sono presenti 250 uomini. Si tratta di un battaglione di alpini dotati delle Centauro, i carri armati con le ruote. Altri 150 militari sono schierati in Romania e partecipano alle missioni di Air Policing condotte dai caccia dell’Aeronautica: difendono il cielo dei Paesi privi di intercettori, o con aerei vecchi, come Estonia, Lettonia, Lituania, Islanda, Romania, Slovenia, Montenegro. La tempistica dell’invio dei mille militari, la dimensione della nuova spedizione e le attività di deterrenza in cui saranno impegnati sono da inquadrare nello scenario di una escalation “controllata”. Ma esistono numerosi altri piani di «risposta graduale alla minaccia». Una vera e propria invasione, infatti, determinerebbe la mobilitazione – sempre in chiave difensiva – di tutte le forze in prontezza che ogni Paese membro garantisce alla Nato.