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 2022  febbraio 12 Sabato calendario

Elogio del Culo (di Tinto Brass)

«Il culo è lo specchio dell’anima». È così che di solito sintetizzo la mia poetica. Agli ingenui e ai maligni potrebbe sembrare la battuta a effetto di un allegro mattacchione e invece questa espressione comprende un preciso progetto estetico, etico e filosofico, consistente nel vedere nel culto estremo dello stile la zattera di salvataggio a cui aggrapparsi nella deriva del mondo.
Il mio culto estremo dello stile implica un disilluso nichilismo nei confronti di una realtà sempre più degradata e conformista. Un radicato pessimismo nei confronti dei valori consacrati, del Potere e della morale corrente. In definitiva nei confronti del mondo così com’è, mondo che, se non posso cambiare, voglio almeno rendere più abitabile grazie allo splendore della forma e delle forme. Nella convinzione che solo il significante può dare un senso, un significato al non senso della realtà. Perciò «il culo è lo specchio dell’anima», racchiude il senso e il contenuto del mio cinema, riconoscendo al suo stampo le stesse valenze di quel paese utopico, liberato che speravo emergesse ma poi non è emerso.
Che cos’è il culo? Un sontuoso mappamondo a cuore rovesciato di due emisferi gemellari, solcato nel mezzo da una fessura verticale che avvalla profonda verso il burrone anale, formando con la piega orizzontale delle cosce, croce di simmetriche labbra di orifizio, invito e promessa di paradisiache delizie. Se durante i provini chiedo alle attrici di mostrarmi il culo mentre chinate «a buco punzoni» raccolgono una monetina è perché vedo in esso un segno e un riflesso del mio desiderio di linguaggio.
Non mi intendo di sublimazioni culturali. E dalla Chiave in poi ho anzi rinnegato quelle che avevo tanto amato. «Byron, Baudelaire, D’Annunzio, dove siete?» reclamava Frank Finlay baciando le splendide natiche di Stefania Sandrelli. «Tiziano, Giorgione, Veronese, e anche tu Klimt, mi avete mai dato questa carne che mi incendia il cazzo?».
Mi intendo quanto basta di sensazioni erotiche, emozioni lussuriose, erezioni falliche e lubrificazioni vaginali. Grazie ai lm con i quali ho scandagliato l’universo erotico, ho acquisito occhio e mano, allenati a scoprire il noumeno che si cela nel fenomeno. E il noumeno delle mie opere dedicate all’erotismo è il desiderio. Dono e prerogativa dell’amore, della bellezza, della verità e della gioia di vivere. Significanti del significato che mi sta a cuore esprimere. Per una felicità di linguaggio che è espressione della mia felicità di trattare liberamente temi a lungo considerati tabù dai corifei della dignità. Da una cultura che vorrebbe ancora repressi gli impulsi sessuali e condannate alla clandestinità le manifestazioni di tutto ciò che piscia, caga, sborra e gode.
Per spiegare la mia conclamata culofilia, basterebbe un sillogismo aristotelico. Prima premessa: il culo è lo specchio dell’anima. Seconda premessa: ognuno è il culo che ha. Conclusione: mostrami il culo e ti dirò chi sei. Ma poiché so per esperienza che ignoranza e sillogismi aristotelici di rado van- no d’accordo, ho voluto tessere il mio elogio del culo in un «deculogo semantico», che contempla dieci punti di vista diversi: poetico, metaforico, antropologico, etico, religioso, filosofico, psicologico, estetico, politico, pragmatico.
Poeticamente parlando il culo è un’efficace chiave di lettura della realtà, una cartina di tornasole di stati d’animo, pensieri, sentimenti, desideri, tant’è che nella nostra lettera- tura lo si trova nei versi di molti poeti.
Quel cacaparole di D’Annunzio lo definisce come un efficace fiammifero per accendere e alimentare il fuoco dell’ispirazione sessuale:
Forma che così pura t’arrotondi
dove s’inserta l’arco delle reni
e
nella man che ti ricerca, abbondi.
Giorgio Baffo nel sonetto Lode al culo lo celebrò con ilare disincanto veneziano:
Oh bus del cul che tra do colinette

in circolo ti xe tondo, e perfetto,

un vaso ti me par pien de zibetto

messo in conserva in quelle to grespette...
E n dal Cinquecento il libertino Maffio Venier, forse irretito dalle tizianesche natiche di Veronica Franco, gli rese un tributo con un ironico madrigale:
Un frate m’ha dito
ch’ha un gusto in nito
redur una donna
a creder,
ch’el culo
no xe per cagar;
ma che ’l sia una cosa divina, e preziosa

per far dei beati, acciò l’adulterio
se possa schivar.
Versi poetici ma tutt’altro che romantici perché nel buco del culo non c’è posto per ori, smancerie, sdilinquimenti amorosi: c’è spazio solo per la nuda e cruda verità.
Metaforicamente il culo è un formidabile grimaldello espressivo per scassinare la cassaforte arrugginita della nostra cultura, che è vecchia, stantia, polverosa, ammuffita, accademica, elitaria, noiosa, triste, piagnona, quaresimale, punitiva, lugubre, cipigliosa, catastrofista e funeraria.
Per come lo intendo io, cioè quale stilema semantico sino- nimo di gioia e non di colpa e dannazione, è eversivo e non istituzionale come i culi esibiti in televisione o dai miei colleghi. È un potente deragliatore ideologico dagli aberranti valori dell’ordine costituito, un gioioso vademecum di libertà.
È il simbolo della contrarietà per eccellenza. Il culo è contro le convenzioni, l’ufficialità, il perbenismo, l’establishment, il politically correct. Un allegro e giocoso vessillo di rabbia, rivolta, ribellione, profanazione, provocazione, dissacrazione, disubbidienza, trasgressione, scandalo, opposizione, dissenso, rivoluzione. In sintesi: la sua idea è Libertà. La sua immagine Verità. La sua essenza Anarchia.
Antropologicamente il culo è il richiamo sessuale primario, mortificato e frustrato da quando l’uomo ha conquistato la posizione eretta, costringendo le donne a sviluppare le tette, la brutta copia delle natiche. Vi è iscritto il nostro Dna, la nostra cartella clinica. A seconda, infatti, che si muova da destra a sinistra o dall’alto in basso, a seconda che sia più o meno sporgente, gibboso o infossato, a sella, a cassetto, a mela, a pera, ad albicocca, a melograno, a mandarino, a mandolino, a violoncello o ad anfora, ci rivela lo stato della nostra salute, i segreti del nostro carattere, per no il destino che ci aspetta. Come se il nostro futuro si leggesse meglio nel fondoschiena che nei fondi di caffè. Non per niente a Venezia si dice: «La vita a xe un lampo e il culo uno stampo!».
Eticamente il culo è onesto. Non è una trappola ingannevole come la fica, che spesso confonde la funzione ricreativa con quella riproduttiva, né una maschera ipocrita come la faccia, che sa fingere e mentire: se un culo ha le fossette è perché è sodo e non perché ride di te! Per questo per scegliere le attrici dei miei film facevo il provino ai loro culi. Nove volte su dieci risultavano più espressivi dei volti, permettevano di valutare in modo più attendibile il temperamento artistico. Osservo, tocco e filmo i rotondi glutei delle mie attrici perché vedo in essi una gratificante panacea degli orrori e delle brutture dell’esistenza.
Confrontando quelli delle migliaia di foto del mio archivio si può distinguere agevolmente, come in una galleria di ritratti, il culo timoroso da quello spavaldo, il culo stupido da quello saccente, il culo indolente da quello guizzante, il culo filosofico da quello pragmatico, il culo pagano da quello mistico, il culo tragico da quello frivolo e malizioso, il culo trasgressivo da quello chiuso e introverso.
Perfino dal punto di vista religioso il culo è una rivelazione. È il tocco della Grazia che fa ritrovare la fede originaria nella donna creata a immagine e somiglianza di Dio. L’unico valore assoluto nel limbo dei valori relativi del mondo di oggi. Per chi è ateo, agnostico o miscredente è comunque un miracolo della natura. Un piccolo frammento di universo capace, come le ninfee di Monet, i girasoli di Van Gogh, le bottiglie di Morandi, di dare un senso al nonsense dell’esistenza.
Filosoficamente il culo è laico: l’anticoncezionale per eccellenza, assolutamente naturale, e in quanto tale in linea perfino con i precetti della Chiesa cattolica. Come afferma il corrosivo detto veneziano: «Le opinioni xe come i busi del cuo, ognuno ne ga uno e tutti spussa».
Psicologicamente il culo è ottimista. A chi è fortunato si dice: «Che culo che hai». Toccare il culo porta bene, e addormentarsi con la mano fra due morbide chiappe femminili propizia sogni d’oro e potenti erezioni. In una parola, il culo è bonheur, fortuna e felicità, giardino delle delizie, Paradiso terrestre!
Esteticamente il culo è un capolavoro: forma, significante allo stato puro. È tondo come la sfera, gura geometrica perfetta. L’architrave portante del corpo umano, il bello per antonomasia, la bellezza per eccellenza! È una splendida iperbole espressiva, sintesi iconica del linguaggio, spia e riflesso del desiderio di linguaggio.
Politicamente «sedere è potere», nonostante non basti un bel culo per fare carriera, se non c’è una mano che lo spinge avanti. Non a caso si dice: «Quando la merda varrà qualcosa, i poveri nasceranno senza buco del culo».
Concludo con Manzoni il mio elogio del culo pragmatico: «Fu vera gloria? Ai posteriori l’ardua sentenza!».
Insomma, il culo è una meravigliosa proteiforme medusa, con un’anima sensibile e una bocca stellata pronta a inghiottire supposte di carne e nettare d’amore.
L’ho detto mille volte e lo ripeto sempre a chi continua a chiedermi qual è la differenza fra erotismo e pornografia: il primo sta alla seconda come la fellatio sta al pompino. Il significante è diverso, ma esprime lo stesso significato: il sesso. È una questione puramente semantica.
Per me osceno equivale a ipocrisia e il comune senso del pudore è un’invenzione delle donne senza tette e degli uomini senza pippo.