Elvira Serra per "Sette - Corriere della Sera", 12 febbraio 2022
AMORI, DOLORI E BOLLORI DI CICCIOLINA: "ORSINI FACEVA BENE IL SESSO, RICCARDO SCHICCHI NON VOLEVA DIRE CHE STAVAMO INSIEME PER NON DELUDERE I FAN - IL MIO PRIMO MARITO? UN IMPIEGATO CALABRESE. "IL PRETE DISSE: QUESTA E' LA SPOSA PIU' TRISTE CHE ABBIA MAI INCONTRATO" - JEFF KOONS? E' STATO CRUDELE. E MI HA STESO ECONOMICAMENTE" - ILONA STALLER, IN ARTE CICCIOLINA, SI RACCONTA A "SETTE" - "NON SARO' MAI COMUNISTA. QUANDO CI FU LA RIVOLTA UNGHERESE AVEVO CINQUE ANNI E I CARRI ARMATI ME LI RICORDO" - E POI RACCONTA COME IL FIGLIO LUDWIG HA SCOPERTO IL SUO MESTIERE DA PORNODIVA... -
Sua sorella come la chiama? «Ilike (con l’accento sulla prima i, ndr). È il diminutivo di Ilona, che era il nome di mia madre. In Italia all’anagrafe trascrissero Elena».
Comincia così in un bar della Storta, periferia Nordovest di Roma sulla via Cassia, una lunga chiacchierata con Ilona Staller, in arte Cicciolina, nata a Budapest il 26 novembre 1951, nell’ordine modella, attrice, conduttrice radiofonica, cantante, pornostar, politica, pittrice, scacchista. Golfino rosso, leggins neri, rossetto rosa, un po’ di nostalgia per il vitino da vespa del secolo scorso. È la prima cosa che chiede: «Sono ingrassata?».
Parliamo invece degli uomini della sua vita. Iniziamo con László Staller, suo padre biologico. «Un gran donnaiolo, con una voce bellissima».
Enzo Biagi una volta la chiamò «la Callas del sesso», per la sua «voce inconfondibile». «Sì, è vero, in tv. Comunque, mio padre ci abbandonò che avevo tre anni. Quando ero adolescente mia madre mi portò a casa sua, dove viveva con un’altra famiglia, per fargli firmare delle carte perché dovevo andare in Jugoslavia. “Neanche l’abbracci? È tua figlia”, lo rimproverò. Lui niente. Non l’ho più visto».
Salvatore, il suo primo marito. «Era di origine calabrese, impiegato in un’agenzia di viaggi. Lo conobbi a Budapest al Continental, dove lavoravo come cameriera.
Avevo vent’anni, lui venticinque più di me. Prima delle nozze cambiai idea e gettai l’anello sulla neve, ma il mio patrigno mi costrinse a sposarlo lo stesso, altrimenti sarebbe stata una vergogna. Il prete disse: “Questa è la sposa più triste che abbia mai incontrato”. Andai a vivere con lui a Milano, vicino alla Stazione Centrale, in un abbaino dove non c’era nemmeno il posto per fare la doccia. Mangiavamo pastasciutta tutti i giorni perché non potevamo permetterci la carne. Allora cominciai a lavorare come modella: con il mio book sottobraccio e una cartina in mano andavo a fare i provini. Dopo un anno gli dissi che volevo divorziare. Lui disse bene, purché paghi tu l’avvocato. Per fortuna non ero ancora famosa, sennò avrei dovuto mantenerlo».
Riccardo Schicchi. «Prima c’è stato Andrea, un playboy con la Jaguar bordeaux che avevo conosciuto a Roma quando mi ero trasferita. Volevo un figlio da lui, ma invece mi tradì con la mia migliore amica. Per colpa sua con Umberto Orsini, che peraltro faceva pure bene il sesso, ebbi solo un flirt, perché ero ancora innamorata».
E arriviamo a Schicchi, suo manager e compagno di vita. «Siamo stati insieme dal ‘74 all’88, ma non voleva che lo dicessi per non deludere i fan. Mi lasciò sei messaggi alla segreteria telefonica, dandomi il suo numero, ma io non lo richiamai. Poi una sera, mentre portavo a spasso il mio Yorkshire Terrier Bubu, me lo trovai sotto casa. Passeggiammo. Mi portò dal direttore di Playmen, Luciano Oppo, con il quale in seguito ho fatto otto copertine. Da lì è cominciato ad arrivare tanto lavoro, comprai un attico sulla Cassia, quello dove vivo ancora adesso, e lui il superattico, che ho ricomprato io».
È andata al suo funerale? «Sì, all’Eur. Ero andata anche a salutarlo all’ospedale, assieme alla mia amica Ursula Davis, in arte Hula Hop. Gli chiesi se poteva ridarmi il mio materiale fotografico e lui mi gridò dietro: “Morirai tu prima!”. Al che gli risposi: “Mi dispiace, Riccardo. Questa volta ti sbagli”».
Jeff Koons. «Appena lo vidi dissi: “Con questo farò un figlio”».
E il figlio è arrivato: Ludwig. «Il 29 ottobre 1992. È un artista, come il padre. Koons mi ha steso economicamente. Quando l’ho lasciato ero ancora innamorata. Mi ha fatto cose tremende, è stata una relazione disastrosa. Una volta a Monaco di Baviera in pieno inverno, con tanto di neve, mi chiuse fuori nel terrazzino, avevo il pancione. Dovetti gridare a Herbert, il portiere, di chiamare la polizia. È stato crudele. Durante la causa per l’affidamento di Ludwig raccontò al giudice che avevo fatto entrare il bambino in America illegalmente dal Messico per fare un film con Moana».
Ed era vero? «Sì, ma sono cose che non si dicono al giudice!».
Ludwig quando ha scoperto il suo passato di pornodiva? «A scuola, dai compagni di classe che gli hanno mostrato dei video. Io tentavo di non raccontarlo. Gli dicevo che ero stata un certo tipo di modella... Del resto mia madre ha scoperto che avevo fatto la pornodiva dopo che mi hanno eletta in Parlamento e i giornali ungheresi mi hanno dedicato pagine su pagine».
E come ha reagito, Ludwig? «Mi ha detto che ne ha guardato solo uno, dove peraltro c’era un’attrice che usava il mio nome, non ero io. Poi basta. È un ragazzo affettuoso, simpatico e bello. Ha i miei occhi. Mi dispiace che suo padre lo faccia soffrire: da poco è stato a Firenze per lavoro e non lo ha nemmeno invitato a raggiungerlo».
Tra tutte le cose che ha fatto, di quale è più orgogliosa? «Di aver spostato il comune senso del pudore, di aver sdoganato tanti tabù. Il che non è stato indolore: ho ricevuto cinquanta denunce per atti osceni in luogo pubblico. Una volta in una discoteca del Sud Italia crollarono i controsoffitti ai quali si erano appese le persone pur di vedermi. Fui accusata anche per quello, e non ero nemmeno arrivata!».
Moana Pozzi. «Abbiamo lavorato tanto insieme, fatto tanto sesso insieme e ci siamo raccontate le nostre cose. In America siamo andate a Hollywood a vedere la Walk of Fame. Abitava qui vicino. Quando è morta, sua mamma mi ha invitata a casa sua e mi ha chiesto di scegliere un capo di abbigliamento, voleva regalarmelo: presi un paio di stivali, anche se io calzo 37 e lei 42. La madre continuava a piangere, non si capacitava».
Le spiace che Moana sia tuttora ricordata con un’allure di intellettuale, mentre lei no? «Ma no, è giusto così! Lei era super intelligente. Quando le davano un copione le bastava leggerlo una volta per ricordarlo a memoria. Quanto a me, credo che sia un fatto puramente politico...».
E allora parliamo di politica. Nel 1987 viene eletta in Parlamento con il Partito Radicale. Ottiene 20 mila voti, seconda a Marco Pannella. «Lui ne aveva presi 35 mila in tre regioni, io ventimila solo nel Lazio. Nessuno, tranne Marco, si aspettava che potessi essere eletta. Era un grande politico e non gli hanno mai dato nessun ministero».
Prese sul serio l’incarico e depositò diverse proposte di legge. «Durante un mio intervento contro la violenza sulle donne Nilde Iotti applaudì. Andreotti invece mi suggerì di spendere più soldi nella stoffa, per coprirmi... Schicchi sapeva che non capivo nulla di leggi quindi mi cercò un avvocato per aiutarmi. Mi sono battuta per creare i parchi dell’amore, garantire il diritto all’affettività dei detenuti, insegnare educazione sessuale a scuola, istituire la tassa ecologica sulle auto, abrogare la legge Merlin, vietare la sperimentazione sugli animali. Come vede, sono sempre stata coerente».
A proposito, ci racconta il suo zoo personale? «Ho sempre amato gli animali e ne ho avuti tanti. Un boa constrictor e diversi pitoni: uno si chiamava Pito Pito, l’altro Tinta, in onore di Brass».
Faceva davvero sesso con loro? «Ma no, erano solo simbolici: alludevano al Paradiso terrestre, a Eva...».
Lei andrà in Paradiso o all’Inferno? «Probabilmente in Paradiso, perché il sesso non è peccato, è bello, piacevole. Amo la democrazia e la libertà, sono pacifista. Sono come John Lennon, in gonnella».
John Lennon ha fatto una brutta fine. «Ma anche io ho ricevuto un pacco bomba a casa mia quando ero deputata! Mi sono salvata per miracolo».
Torniamo allo zoo. Altri animali? «Avevo un camaleonte che mi stava sempre sul seno. In Autogrill, quando ci fermavamo, lo tiravo fuori e gli facevo mangiare le mosche sui finestrini delle altre macchine. Poi un giorno un’ape lo ha punto nell’occhio. È morto così».
Ha avuto anche una tigre. «Sì, una tigre del Bengala. Me l’aveva regalata Schicchi. All’inizio era un cucciolo e io le davo da mangiare con il biberon, lei mi considerava sua mamma. Poi è cresciuta e dovevo darle sacchi di carne cruda che compravo alla Standa. Mi ha distrutto tutta la cristalleria di Murano... Quando Schicchi rientrava a casa lei lo atterrava. Finché un giorno non è caduta dal terrazzo, finendo su quello di una vicina che si è presa un colpo. L’ho fatta operare e poi l’ho regalata a uno zoo privato».
E adesso ha ancora animali per casa? «Sì, una decina di persiani cincillà. Quando fanno i gattini arrivano a essere trentacinque».
Come nacque la coroncina in testa? «Ero alla Rinascente con Riccardo quando ho visto questa coroncina rosa e istintivamente me la sono messa in testa. La commessa: “No, guardi che ha sbagliato, quella è una collana”. Tornammo il giorno dopo a comprarla, perché non avevamo i soldi. E l’ho pagata io».
Coroncina e topless anche per le Femen. Loro, però, per contrasto a un modello femminile mansueto. Nel bel documentario di Alessandro Melazzini Cicciolina-L’arte dello scandalo, disponibile su Sky, dicono che lei fosse una vittima della pornografia. «Le Femen mi hanno copiata. Loro sono sparite e io sono rimasta. Quanto al resto, io mi divertivo, non sono mai stata vittima. Il pubblico lo provocavo io, era il mio oggetto dei desideri, non ero mai sottomessa, facevo quello che volevo».
Le piacerebbe partecipare a un reality show? «Moltissimo. Ne ho già fatti all’estero, Bailando por un sueño in Argentina, l’inglese The Farm e l’ungherese Celeb Vagyok , girato in Sudafrica. In Italia mi piacerebbe il Grande Fratello Vip oppure L’isola dei famosi ».
Sogno nel cassetto? «Un programma mio, con il tavolo a forma di cuore e le domande sul sesso».
È stata scelta da Desigual come testimonial. «Per una campagna in tutto il mondo, anche in Australia. Ero molto felice quando me l’hanno proposto».
Quali sono i suoi hobby, oggi? «Dipingo: vorrei fare una mostra personale. E poi gioco a scacchi, sono piuttosto brava: se mi invitassero ai tornei andrei volentieri».
Infine ha avuto la vita che voleva? «Qualcosa l’avrei cambiato. Ma va bene così. Quando ci fu la rivolta ungherese avevo cinque anni e i carrarmati me li ricordo. Allora non avevo capito. Poi sì. E non sarò mai comunista».