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 2022  febbraio 12 Sabato calendario

La scienza è esatta ma non troppo

«La Filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto dinanzi a gli occhi (io dico l’universo), ma non si può intendere se prima non s’impara a intender la lingua, e conoscere i caratteri ne’ quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche» ( Il Saggiatore , 1632). In questa celebre frase, Galileo parla di filosofia, intendendo quella che oggi chiamiamo fisica, ricordandoci così che le due discipline, rimaste fuse per secoli, condividono lo stesso obiettivo: capire il mondo che ci circonda.
Dall’epoca di Galileo in poi diverse teorie sono state formulate per spiegare i fenomeni naturali, ognuna delle quali porta con sé una diversa interpretazione del mondo; un esempio su tutti è quello della Meccanica Classica di Newton che ha lasciato il posto alla Meccanica Quantistica.
Ma perché questo accade? Perché le teorie vengono sostituite da altre teorie? In altri termini, come avviene la ricerca? La risposta a queste domande è molto complessa, e l’epistemologia ha dibattuto a lungo sulla questione, senza arrivare a una conclusione condivisa, ammesso che ve ne sia una. Eppure vengono in mente due risposte ovvie.
La prima è che la teoria deve essere compatibile con i dati sperimentali: pare una considerazione scontata, tuttavia l’applicazione di questo principio non è per nulla evidente, perché molto spesso la connessione tra la teoria e l’osservazione passa attraverso ipotesi aggiuntive non dimostrate.
Si può ricordare, ad esempio, come nel 1859 Le Verrier scoprì che l’orbita del pianeta Mercurio calcolata sulla base della Meccanica di Newton era differente da quella osservata sperimentalmente. Tuttavia, né a Le Verrier né ad altri scienziati venne in mente che la Meccanica di Newton potesse essere sbagliata, e per giustificare tale discrepanza venne anche ipotizzata l’esistenza, vicino a Mercurio, di un nuovo pianeta, poi chiamato Vulcano.
Per risolvere il problema bisognò aspettare il 1915, quando Einstein riuscì a calcolare l’orbita di Mercurio sulla base della nuova teoria da lui formulata, la Relatività Generale (che ora sostituisce la Meccanica di Newton nella descrizione dell’universo), senza chiamare in causa pianeti aggiuntivi, che peraltro non furono mai trovati.
Oggi forse ci troviamo in una situazione similare: il confronto tra i dati sperimentali e i modelli teorici indica che circa il 95 per cento dell’universo si compone di qualcosa a noi sconosciuto, che prende il nome di materia oscura ed energia oscura. L’utilizzo di questi nomi, come l’ipotesi del pianeta Vulcano, tradisce la speranza da parte degli scienziati di riassorbire la discrepanza tra la teoria e l’osservazione all’interno delle teorie fisiche attualmente utilizzate. Più in generale la cosmologia moderna, che può considerarsi come uno degli ambiti della ricerca scientifica oggi più dinamici, sta producendo una impressionante mole di dati osservativi, alcuni dei quali sono conferme dei modelli esistenti, mentre altri faticano a essere inquadrati all’interno dell’attuale modello cosmologico. Questo significa che ci vuole ancora tempo per capire il nostro universo, che è molto più complesso di quanto si credesse un tempo, e non è improbabile che l’esito delle ricerche porterà a una nuova rivoluzione nella fisica, come avvenuto con l’avvento della Relatività Generale.
La seconda risposta alle domande di partenza è che una teoria viene sostituita da un’altra quando quest’ultima riesce a spiegare un maggior numero di fenomeni fisici con un minor numero di ipotesi. Anche questo principio, tuttavia, non è di immediata applicazione: si possono ricordare i fenomeni elettromagnetici, la cui formulazione teorica ha trovato il suo coronamento con le equazioni di Maxwell del 1865, e che per decenni vennero interpretati come oscillazioni dell’etere, una sostanza che avrebbe dovuto riempire tutto lo spazio e a cui nel corso degli anni furono attribuite proprietà via via più incoerenti. Di nuovo, bisognò aspettare Einstein il quale, formulando la Relatività Speciale nel 1905, dimostrò alla comunità scientifica che gli stessi fenomeni elettromagnetici possono essere spiegati più semplicemente come oscillazioni del campo elettromagnetico che si propaga nel vuoto, senza ricorrere all’etere.
Anche oggi abbiamo un problema per molti versi simile: la Meccanica Quantistica, che descrive il mondo microscopico con un’altissima precisione, è tuttavia incapace di offrire un’immagine coerente del mondo fisico. Il mondo microscopico degli atomi e delle particelle elementari si comporta quantisticamente, ma la teoria non spiega perché queste proprietà non dilagano anche nel mondo macroscopico, che invece si comporta classicamente.
Da qui nascono i molti paradossi che hanno conquistato l’immaginario collettivo, primo tra tutti quello del gatto di Schrödinger, il cui stato di salute non è definito. La Meccanica Quantistica è quindi concettualmente insoddisfacente, tuttavia a oggi si fatica a immaginare una teoria migliore, e si resta invece ancorati alle contraddizioni di quella esistente, principalmente perché non è (ancora) stata falsificata dagli esperimenti. In ultima analisi, facendo un discorso che va oltre la fisica, si può affermare che la ricerca scientifica è un’attività squisitamente umana, nella quale si riflettono dunque le numerose e complesse dinamiche tipiche dell’essere umano.
Ed è per questo che, in linea generale, le teorie accettate vengono mantenute e “aggiustate” anche se problematiche, fintanto che non diventano palesemente indifendibili. Inoltre, gli scienziati tendono a offrire soluzioni e interpretazioni diverse al medesimo problema, non essendo la comunità scientifica dissimile da altri tipi di comunità, in cui l’unità degli intenti si mescola con la differenza di vedute e metodologie.
Con una battuta di spirito, possiamo dire che le scienze sono esatte, ma non troppo. Questo non sorprende e non delude, se sappiamo apprezzare il lato umano della scienza, che è fatta dall’uomo per l’uomo, riuscendo a offrire, tra errori e colpi di genio, un’immagine via via più ricca della natura, fornendo anche le basi per la realizzazione di nuove tecnologie volte a migliorare sempre più la nostra esistenza. E da qui passa anche una corretta comunicazione scientifica, comprensibile da parte di qualsiasi persona.
Ricordando Einstein, «La maggior parte delle idee fondamentali della scienza sono essenzialmente semplici e possono, di regola, essere espresse in un linguaggio comprensibile a tutti» ( L’evoluzione della fisica, 1938).
L’autore è professore di Fisica, Università degli Studi di Trieste