Tuttolibri, 12 febbraio 2022
Intervista a Chiara Moscardelli
Contrordine ragazze: incontro alla vita bisogna andare corazzate per ogni evenienza, pronte a combatterla, e non blandirla cercando di conquistarla con occhioni sgranati e voce flautata. Nel 2011, al suo esordio, il bilancio da quasi quarantenne, single suo malgrado, aveva convinto Chiara Moscardelli che molto meglio sarebbe stato «essere una gattamorta», una tutta moine, del genere «senza di te che mi proteggi proprio non so come potrei fare»: il metodo migliore per sottomettere un uomo. Adesso che i 50 sono dietro l’angolo ha affidato a Olga Rosalia Bellomo, La ragazza che cancellava i ricordi, il suo cambio di strategia: è una che fa di tutto per bastare a se stessa e i maschi li mette al tappeto con un pugno, «preparata a uccidere, a difendersi, a non avere bisogno di nessuno, a risolvere da sola i propri problemi».
Romana trapiantata in una Milano con cui fatica a fare pace, una costante nostalgia degli amici e del mare, dentro è rimasta quella adolescente un po’ vintage degli anni ’80 che sognava il grande amore e un futuro nell’editoria, un po’ Candy Candy, un po’ Harry ti presento Sally (per capirci, in squadra al FantaSanremo, ha messo Massimo Ranieri, Donatella Rettore e il capitano, «l’idolo» Gianni Morandi). Il lavoro che voleva ce l’ha, scrive libri suoi e si occupa di quelli degli altri, ha anche una casa nuova che le è costata un mutuo trentennale: solo l’amore ancora latita, ma ha smesso di «fingersi vedova per essere guardata con sguardo compassionevole» e non sentirsi chiedere come mai, alla sua età, si ritrovi sola. Lei ci scherza come sempre, di una ostinata autoironia ha fatto la sua forza: «Meno male che vado d’accordo con me stessa». Ma questa volta è un sorridere con un retrogusto amaro e, tra padri che allenano alla violenza e alla sopportazione del dolore, donne uccise, sequestri di escort e loschi figuri, il nuovo giallo più che sul rosa vira su tinte «darkeggianti».
Cosa è successo?
«È successo che sono nell’età in cui per una donna tutto cambia. Ti rendi conto che di figli non ne potrai più avere e, anche se in fondo non li hai mai desiderati davvero, la menopausa è una botta, come essere investiti da un tir. Però è lì che capisci che, al di là di quello che vuoi tu, la vita alla fine va dove decide lei. Una crescita forzata che non volevo fare».
Addio a Teresa Papavero, e alle sue "indagini" condite di goffaggine, ai problemi con la bilancia di Agata Trambusti. Olga è tutta d’un pezzo e in forma strepitosa.
«Le mie protagoniste sono un po’ sempre state il mio specchio e io non mi riconoscevo più nei personaggi precedenti. O almeno non mi ci riconosco in questo momento. Ho realizzato di portare un carico che prima non avevo, o che non sentivo. Sono cinque anni che vado in analisi per risolvere degli snodi e forse sto finalmente tirando le fila di tutto: questa nuova Chiara mi piace molto».
I blocchi emotivi, quelli restano, in tutti i personaggi femminili. Arrivano dal vissuto con i genitori. Cosa non funziona?
«Siamo il risultato della nostra educazione sentimentale. Con il tempo si può migliorare, fare i conti con i rapporti, o i non rapporti, che abbiamo avuto con i nostri genitori: anche io sono il frutto di quella roba lì. E tutte le mie protagoniste hanno lo stesso tipo di trauma, derivato dall’infanzia o dall’adolescenza, che si portano dietro fino alla vita adulta, perché non l’hanno mai voluto risolvere. Ma i nodi a un certo punto vengono al pettine. A Olga ho regalato l’opportunità che io fino a ora non avevo avuto, di sbloccarsi e di affrontare quei blocchi affettivi».
Olga è una tatuatrice, realizza vere opere d’arte che hanno la valenza di una terapia. Anche questa è una passione dell’autrice?
«E sì, perché io da due anni a questa parte sono tutta tatuata. Sono sempre stata la classica figlia per bene, rigorosa, diligente. Nel mio passato nessuno sciopero per la pace nel mondo per non andare a scuola, un senso del dovere esasperato: ho portato avanti anche il lavoro con una rigidità esagerata. L’ultimo periodo di grande solitudine e preoccupazione, ha sparigliato le carte. Ho pensato: "Magari muoio domani e non ho fatto le cose che mi avrebbero dato piacere", per esempio i tatuaggi. Mia madre me lo ha sempre impedito, quando ero adolescente erano da "poco di buono". A quasi cinquant’anni mi sono emancipata, anche se dopo il primo, Cenerentola, non sapevo come dirglielo. Ora ne ho undici e sto per farne altri due!».
Cenerentola? Eccolo lì il Principe Azzurro...
«Ho tatuato tutto Walt Disney, ogni personaggio ha un significato. Cenerentola è la favola con cui sono cresciuta e in cui ho creduto fino all’anno scorso, fino al famoso tir in faccia, quando mi è stato improvvisamente chiaro che il nostro principe azzurro siamo noi stesse. Sull’altra spalla ho Crudelia De Mon, perché sono convinta che ciascuna sia l’unione di male e bene. Io lei l’ho amata persino più dei personaggi buoni. Mi piace il suo essere sensuale nonostante la bruttezza. Lei si sente fighissima con i pellicciotti di dalmata e la faccia sghemba. Mi volevo ricordare che ho anche una parte cattiva con cui devo fare i conti e che sono bella, anche se non in modo canonico».
I clienti di Olga hanno molto vissuto sulla pelle...
«Proprio come la mia tatuatrice, è anche un po’ psicologa. Io la prima volta ho pianto e lei non ha fatto una piega, mi ha tenuta lì a singhiozzare. Ascoltano storie incredibili e aiutano le persone a tirarle fuori e stare meglio, o a nasconderle. Per questo ho voluto che i personaggi che ruotano intorno a lei, soprattutto delle escort, avessero un passato scomodo con cui confrontarsi».
Olga è ossessionata dalla paura di perdere la memoria, come sua madre mangiata dall’Alzheimer.
«Qui ho attribuito il rischio alla malattia, ma ho sempre pensato che la nostra memoria fosse la nostra forza. Non avere più contezza di affetti e ricordi deve essere terribile. Durante l’isolamento mi sono resa conto di quanto fossero importanti i ricordi dei viaggi, delle cene, degli abbracci. Ho iniziato da lì a costruire questa paura. Anche se lei di passato su cui contare ne ha poco. Deve inventarsela la vita, e lo capirà».
È cresciuta in un paesino della Sicilia, si è trasferita in uno sul Lago Maggiore. Dopo Strangolagalli un altro piccolo borgo. Lo scenario ideale per un giallo?
«La dimensione del paese mi fa impazzire. Mi piace scoprirli per i libri e per la mia vita: Strangolagalli era la mia Cabot Cove, un po’ come La signora in giallo. Coltivo il sogno di abitare in una casettina sul mare! Il ragusano mi ha sempre affascinato, degli amici mi hanno aiutato a scovare Torre San Filippo, un meraviglioso castello abbandonato. A Trarego Viggiona, sulle alture del Lago Maggiore, una coppia di amici ha davvero aperto un parco avventura per ragazzi, come nel romanzo. Ci sono stata quattro mesi per studiare l’ambientazione. Li ho aiutati in cucina!».
Dove non c’è una famiglia ci sono gli amici?
«Sono la famiglia che ti scegli, la mia ragione di vita. Io frequento gli stessi di quando avevo 14 anni. Li coltivo, mi impegno con loro molto più che nel trovarmi un fidanzato».
Nella storia ritorna come un mantra il verso del poeta inglese John Donne, "Nessun uomo è un’isola". Che significato ha?
«L’ho scelto perché mentre Olga cresce cercando disperatamente di essere sola, di non avere bisogno di nessuno, io al contrario ho sempre pensato che fossi nata per formare una famiglia, per avere un marito e dei figli. Nella storia quel verso lo ripeto quasi a me stessa, per ricordarmi che non necessariamente la tua felicità deve dipendere da un altro, ma che tutto nasce da come ti poni nei confronti di quell’altro».
"Gli uomini ti sottovaluteranno sempre perché sei una donna. Approfittane" dice il padre alla protagonista. Il tema è ampio e dibattuto. Come fare di un problema una opportunità?
«Non riusciamo a sfruttarla appieno perché non abbiamo abbastanza spazio di manovra. Mi è capitato spesso in ambito lavorativo di avere a che fare con uomini che non avevano idea di cosa fossi in grado di fare, lo percepivo proprio. Ho approfittato del fatto che si aspettavano di avere di fronte una nullità per portarli dalla mia parte. Niente però in confronto a quando vedono una donna, soprattutto se figa, che spalanca gli occhi e sbatte le ciglia: è il loro punto debole, non capiscono più niente».
Ma allora torniamo al principio. Con tutto quello che è successo in questi anni le gatte morte sono ancora fra noi?
«Magari si sono giusto un po’ trasformate, ma di quelle che rigirano i maschi come calzini, portandoli dalla loro parte, a fare quello che vogliono è pieno il mondo. Mi verrebbe voglia di prenderne uno, scuoterlo e dirglielo in faccia: ma non vedi ’sta gatta morta cosa ti sta facendo? Mi fanno una tenerezza...».