La Stampa, 12 febbraio 2022
Biografia di Paola Egonu raccontata da lei stessa
In questi giorni di Cinque Cerchi Paola Egonu non pensa ai suoi, a quelli che ha portato con tanto orgoglio alla cerimonia di apertura dei Giochi estivi di Tokyo. Li guarda comparire in tv, sbucare dalle foto, ma le sembrano molto distanti e comunque la portano in un mondo fatto di desideri dove ora non vuole stare: «È un bellissimo ricordo che adesso non funziona. Preferisco pensare a cose brutte, così sto con i piedi per terra e non mi dicono che mi credo più di quello sono».
Le Olimpiadi richiamano brutti ricordi?
«Può darsi. Quel rientro non è stato facile da smaltire».
Eliminate ai quarti e criticate perché «distratte dai social». A una squadra maschile lo avrebbero detto?
«Non esiste, non lo farebbero mai perché lo sport femminile è ancora poco considerato. Valgono i risultati, certo, ma l’approccio è pieno di pregiudizi e di stereotipi. Prendete il campionato di volley in Italia, nella mia squadra, Conegliano, credo che oggi ci sia più gioco che nella maggioranza delle partite maschili dove tirano forte e basta».
Le giocatrici di volley sono ancora considerate miss?
«Meno, si migliora. Lentamente. Anche se l’idea di quella alta, con le misure ideali resiste, come se una squadra si facesse con il casting».
Ha mai ricevuto commenti sul fisico che le hanno dato fastidio?
«Per fortuna no, ma ho purtroppo una collezione di pessimi comportamenti. Club Italia, da ragazzine, non ricordo l’età, minorenni e uno dello staff dice a una compagna: "Non ci respiri in quella maglietta, sembri un salsicciotto". Mi è rimasto impresso, con una frase così fai dei danni».
Sarebbe giusto chiedere ai tecnici di andare a scuola di sensibilità? L’Australia, tra mille problemi, ha iniziato un addestramento specifico.
«Basterebbe che parlassero di quello che sanno, nel mio caso, pallavolo. Stop. Non sono nutrizionisti, non sono psicologi, non si devono permettere di uscire dal loro campo».
La ginnasta Simone Biles, a Tokyo, ha messo l’accento sulla salute delle atlete e degli atleti. Si riparte con i Giochi invernali e il commento della Nbc alla caduta di Mikaela Schiffrin, due ori per gli Usa nel 2018, è: «Che delusione, che errore. Una macchia che resta».
«E chi si stupisce? Veniamo considerate macchine, va bene solo fino a che sei superdonna. Se cadi, per forza hai sbagliato atteggiamento o non ci hai messo abbastanza o hai pensato ai fatti tuoi. Invece per realizzare quando fare un passo indietro per il rispetto del proprio corpo ci vuole tanto coraggio».
A lei è capitato?
«Agli inizi. A ogni errore ti senti dire: "che opportunità sprecata". Ridicolo, le carriere non sono fatte di percorsi netti».
Ha visto Sanremo?
«Pochissimo, però l’ho seguito sui social».
Le sarà arrivato il monologo dell’attrice Lorena Cesarini: "Credevo di essere italiana, ho scoperto di essere nera".
«Polemiche inutili. Mi chiedo fino a che si dovrà passare da queste baggianate. Mi dispiace per lei, giustamente felicissima per essere lì, ingenuamente felicissima purtroppo. Ho provato anche io quelle sensazioni, spero si arrivi a una generazione che ne sia libera».
Perché non ora?
«La gente parla. Io so che non devo dare importanza a certe voci eppure, magari per un attimo, ci penso e fa male».
Bene parlare di razzismo sul palco di Sanremo o meglio non lasciare spazio a chi non capisce?
«Se se ne parla è subito troppo, se non lo si fa diventa silenzio. Pure su questo alla fine pare si sbaglia e basta. Bisogna provarci, con onestà».
Lei come fa?
«Mi dico: Paola contano le persone con cui andresti in guerra. Delle altre fregatene».
Con chi andrebbe in guerra?
«Non brucio i nomi»
Ci va spesso in guerra?
«Di continuo, troppo. Ci sono posizioni che vanno difese».
L’ultima volta quando?
«Pochi giorni fa, evito di dire il motivo: se pubblicizzo certe battaglie perdono di efficacia».
Allora mi racconti una battaglia ormai sepolta.
«Per fortuna me le dimentico, se me le portassi dietro mi schiaccerebbero».
Con chi si confronta quando quelle voci fastidiose entrano nel sua vita?
«Con la mia famiglia, mio padre, mia madre, mia sorella. È da quando sono giovanissima che sto lontano da loro, ma ormai mi sono abituata al rapporto a distanza».
Ora le distanze potrebbero cambiare, si dice che sia pronta ad andare a giocare all’estero.
«Adesso tutto è aperto».
In passato la Turchia le ha offerto contratti pesanti e ha rifiutato. Oggi la tentano?
«Rispetto all’anno scorso mi sento pronta per un’altra avventura. Al momento però resto concentrata su Conegliano».
Per la prima volta dopo tanto tempo il campionato di volley è aperto. Stanche voi o migliori gli altri?
«Gli avversari sono diversi e Conegliano deve ritrovare i propri equilibri».
Vi hanno definite «ingiocabili» perché non c’era gara. Come si mantengono le motivazioni dopo aver vinto tutto?
«Io ho sempre voglia di essere la migliore, di dimostrare quanto valgo».
Pensa che ci sia ancora qualcuno che non l’ha capito?
«Spero di no, ma so che nello sport non è più si vince o si perde. È si vince o si massacra, come hanno fatto con noi alle ultime Olimpiadi. Con il manganello. Poi abbiamo vinto gli Europei e tutti fieri di noi. Eh no, con me non funziona così».
Che cosa sogna oggi Paola Egonu?
«Di vivere in un mondo dove la gente si fa i cavoli propri».
Lei però è un personaggio pubblico, la curiosità ci sta.
«Non quella morbosa, mi sento spiata, come se aspettassero la cazzata per puntare il dito».
È innamorata?
«No. Troppa pallavolo, mi ci dedico con ogni fibra».
Troppo bisogno di dimostrare?
«Sto facendo quello di cui ho bisogno. Compreso i fatti miei». —