il Fatto Quotidiano, 12 febbraio 2022
I tre dossier falsi contro Report
Sigfrido Ranucci appare fin troppo disinvolto quando dice ai due emissari, filmato a sua insaputa in un ristorante del centro di Roma, che possono spedire “la busta” con “il video” anche “senza mittente, da Bolzano, da Roma, Milano, Verona, Padova, Piacenza…”, cioè “in maniera anonima”, e lui potrà poi “costruire tutta la storia in un altro contesto”, ovvero travestire l’operazione in modo che la Rai risulti aver pagato “persone o società che ci vendono del materiale grezzo” che “non ha nulla a che vedere col video che mi è arrivato invece da voi”. Si parla di “10-15 mila euro”. Insomma una falsa fattura, questa l’intenzione che sembra emergere dalle parole del conduttore di Report, pronunciate nel 2014 quando peraltro al timone c’era Milena Gabanelli e Ranucci era il suo vice.
Le ha riesumate il Riformista di Piero Sansonetti, che ha messo online qualche minuto del video “rubato” senza però spiegare che è la vecchia storia dell’allora sindaco ex leghista di Verona, Flavio Tosi, e del presunto ricatto mai dimostrato, che i clan calabresi avrebbero operato ai suoi danni anche con un filmato di natura sessuale. Il video di cui parlavano al ristorante. Tutto agli atti di tre diverse indagini. Tosi infatti querelò Ranucci: archiviato. Lo querelò anche un ufficiale della Finanza, citato nell’incontro registrato: altra archiviazione, con tanto di riferimento del giudice di Padova a “manipolazioni” del “file audio depositato”, che non sappiamo, però, se corrisponda al filmato ora in possesso del Riformista. E Ranucci querelò Tosi, che il 30 settembre 2019 è stato assolto a Verona per mancanza dell’elemento soggettivo dall’accusa di calunnia e condannato a tre mesi per tre episodi di diffamazione (su cinque) ai danni di Ranucci, vicenda poi conclusa con una transazione prima dell’appello: sugli schermi di tv locali l’allora sindaco aveva detto cose come “mi fa schifo”, “sono delle merde”, “infami”, ma secondo il giudice aveva creduto in buona fede che Report costruisse un “falso dossier”. Invece, scrive il giudice, “il giornalista ha legittimamente esercitato un proprio diritto”, cioè il diritto di cronaca. Un altro giudice, ordinando l’imputazione coatta per il sindaco, aveva scritto che Ranucci “lungi dalla andarsene in giro a diffamare Tosi, stava verificando la veridicità delle proprie notizie nella maniera più scrupolosa, ascoltando fonti informate e in grado di fornire prove certe”. I due che proponevano il video, vicini alla Lega, erano in teoria ostili a Tosi, al quale però uno è poi andato a riferire. Una trappola da cui Ranucci è uscito anche registrando a sua volta l’incontro, facendo così emergere le “manipolazioni” altrui.
Nel filmato, che il Riformista metterà sul web a puntate, ci sono riferimenti ai contatti che Ranucci vanta negli apparati investigativi e nei Servizi e mille altre cose che i giornalisti dicono per far parlare la gente, ma in questo caso indignano Sansonetti. “Ranucci parla di un audio e questo è un video. Non può dire che è falso, manipolato e già edito. Il video è vero, originale e inedito. Dica semmai che questo è il suo modo di fare giornalismo, stavolta l’hanno pizzicato”, dice al Fatto il direttore del Riformista. Non è roba vecchia, già passata per il Tribunale che l’ha smontata? “Il video no”, sostiene Sansonetti.
“Ma come no? È agli atti, con tutta la trascrizione”, replica Ranucci. Che la racconta così: “Questi mi dicono che hanno il video di Tosi, io gli faccio credere che lo voglio comprare, gli vado dietro per vedere se ce l’hanno davvero e cioè per verificare, come ha scritto il giudice, le informazioni che avevamo”. Non l’avrebbe mai comprato con quelle modalità? “Non si può fare – taglia corto Ranucci – Report non fattura, a fatturare è la Rai che controlla tutto. Sansonetti mi accusa di fare dossier con i fondi neri della Rai, la stessa accusa che mi ha fatto Tosi, che mi ha querelato e ha perso, anzi è stato condannato per le accuse di dossieraggio basate su video e audio che sono risultati manipolati e parziali. Sono rimasti a lungo sul sito della sua fondazione. Ne parlarono i giornali e anche noi in trasmissione. Luigi Gubitosi (allora dg Rai, ndr) che disse che l’attacco meritava risposta”.
La Rai dovrebbe quindi sapere già tutto, se così è non aprirà un altro audit interno su Report come invece preconizza l’ex renziano Andrea Marcucci. L’ultimo audit riguarda i messaggi sopra le righe, diciamo pure insulti, inviati da Ranucci ad Andrea Ruggieri di Forza Italia, deputato della Vigilanza Rai, dopo l’uscita del dossier che parlava di giornaliste coinvolte in rapporti intimi e mobbizzate dal conduttore di Report. L’amministratore delegato Carlo Fuortes ha detto che l’indagine interna non ha trovato riscontri alla lettera anonima portata in Vigilanza da Davide Faraone di Italia Viva, su cui anche Ruggieri chiedeva chiarezza. E prima, sollevata dal renziano Luciano Nobili, era uscita la storia della fonte pagata in Lussemburgo, pure quella senza riscontro. I nemici di Report non c’è bisogno di cercarli.