la Repubblica, 12 febbraio 2022
L’illegalità e la corruzione sono inevitabili
La corruzione e l’infiltrazione mafiosa, tra le pieghe dell’economia e della finanza, continuano ad allargarsi. In particolare, attraverso il mondo dei professionisti e dei colletti bianchi. “So-spinte” dalle risorse “generate” dal Pnrr. Più in generale, dagli interventi e dei fondi trasferiti dall’Unione Europea. Tuttavia, questi problemi preoccupano di meno, rispetto al passato. Lontano e recente. Si tratta di tendenze rilevate da un recente sondaggio curato da Demos-Libera, che, domani verrà presentato sull’ Espresso. Questa contraddizione, in effetti, è meno contraddittoria di quanto possa apparire. E ha due spiegazioni principali. La prima, richiama il diverso approccio assunto dal fenomeno mafioso. Per citare le parole di don Luigi Ciotti, nell’intervista pubblicata in queste pagine: «La mafia che uccide o esercita forme di violenza diretta oggi è residuale». Perché prevale quella “imprenditoriale”, che usa il denaro per corrompere e agisce attraverso strategie che permettano di non apparire. Anzi: nascondersi. È una mafia che non fa più notizia come prima. Perché ha scelto metodi e strategie d’azione che attraggono meno l’attenzione dei media. E, si è inserita direttamente nei circuiti professionali e dei professionisti. In questo modo, opera “dentro” il sistema. Nei centri dell’economia e del mercato. Ma non appare. Si confonde con i luoghi e i soggetti che, comunque, agiscono in questa zona grigia del potere. In modo meno visibile ma non meno influente. Al contrario. Perché rende difficile districare l’illegalità “interna”, quasi fisiologica, da quella patologica, di origina mafiosa. La seconda ragione che rischia di ri-dimensionare la presenza mafiosa nel nostro ambiente e ai nostri occhi è conseguente. Coerente. Evoca un senso di abitudine, quasi assuefazione. La corruzione, infatti, sembra essere “compresa”, cioè: riassunta, come un “male italiano”. Che va oltre la mafia. Un vizio italiano. Inaccettabile, ma, in fondo, accettato. Non è un caso che, ormai, abbia perduto alcuni dei tratti che le fo rnivano identità. La geografia, anzitutto. Un tempo, la mafia appariva radicata soprattutto nel Mezzogiorno. Mentre oggi appare un fenomeno nazionale. Da Nord a Sud, passando per il Centro, la percezione del pericolo mafioso non mostra particolari differenze. Certo, c’è consapevolezza che si tratta di un problema molto serio. Tanto più in questi tempi. Quando l’aumento e la circolazione delle risorse “legali” attraggono l’attenzione dei “soggetti il-legali”. Infatti, se il Pnrr, presso gran parte dei cittadini, costituisce una sigla “oscura”, l’interesse cresce notevolmente fra coloro che vedono in questo “Piano” un motivo di profitto. Di guadagno. Non solo in modo legale e legittimo. Al contrario. Ma sulla tentazione di “ri-dimensionare” il fenomeno, oltre alla geografia, pesa la nostra “storia”. Nelle prossime settimane, infatti, ricorre il 30esimo anniversario di Tangentopoli. Lo “scandalo” della corruzione che, nel 1992, ha coinvolto e travolto gran parte del sistema politico e dei partiti, in Italia. Un evento “epocale”, che ha contribuito, in modo decisivo, alla fine della Prima Repubblica. Indebolita, dopo la caduta del Muro di Berlino, che le aveva fornito basi di identità e stabilità. Nel segno dell’anti-comunismo. Ma Tangentopoli ne ha sgretolato le fondamenta. La legittimità. E ha aperto la strada ai cambiamenti successivi. Alla Seconda Repubblica, nel segno di Berlusconi e dell’anti-berlusconismo. Alla Terza, dopo la caduta di Berlusconi e l’affermarsi dell’antipolitica, interpretata, anzitutto dal M5S. Fino ad oggi. A questa Repubblica difficile da definire. Dopo il declino del partito- non-partito. E dei partiti… Tuttavia, come ribadisce la ricerca di Demos-Libera, una larga maggioranza dei cittadini, circa 6 su 10, ritiene che non sia cambiato nulla da allora. Tangentopoli non è mai finita. E il 22% pensa che la corruzione, da allora, sia perfino cresciuta. Insomma, negli ultimi decenni, agli italiani pare che non sia cambiato nulla sul “fronte illegale”. È questo il vero “rischio”, in questa fase. Che le mafie e la corruzione, ai nostri occhi, diventino: “normali”. Quasi “banali”. Perché la “banalità del male”, per echeggiare le parole di Hannah Arendt, “rischia” di generare acquiescenza intorno a oggetti e soggetti tutt’altro che “banali”. Ma per allungare lo sguardo oltre l’ombra della mafia occorre riconoscerla. Individuarne le radici. E, ovviamente, contrastarla. Nella società e sul territorio. Infine e soprattutto: bisogna evitare che, per noi, divenga “normale”. Dunque: in-evitabile. Per questo non dobbiamo “rassegnarci”. Ma “indignarci”. Reagire. Per non perdere il rispetto di noi stessi. In definitiva: per non perderci.