il Fatto Quotidiano, 11 febbraio 2022
A me il Papa in tv non è piaciuto
Fazio che intervista il papa è stato ben recensito in Italia, ma riceve pesanti critiche all’estero. “Ma come! – si chiedono i giornali stranieri –, puoi parlare col capo della chiesa cattolica e non gli fai neanche una domanda sugli scandali dei preti? I cristiani vengono ammazzati nel mondo, e non gli chiedi niente?”. È vero, l’intervista è stata debole dal punto di vista giornalistico, Fazio ha abdicato al suo dovere. Ma è stata debole soprattutto per un’altra ragione: ha trattato il papa come un personaggio qualsiasi. Era prevedibile. Per un papa prestarsi a un’intervista da Fazio è un errore. Ratzinger non l’avrebbe fatto. Non che Ratzinger non volesse incontrare il mondo e i giornalisti e parlargli, anzi un giorno l’ha dedicato solo a questo, ma non prestandosi lui alla tv o ai giornali, in casa altrui, ma chiamando scrittori, giornalisti, attori, registi, a casa sua, e fornendo a tutti un discorso globale, su ciò che si può fare di bene e di male, e sui premi che il bene avrà. Papa Ratzinger ha chiamato alla Cappella Sistina 250 artisti dai cinque continenti. Non è sceso fra noi invitati. La distanza da noi è rimasta abissale. Pensare di porgli qualche domanda era blasfemo. Lui era il 265° vicario, e mentre parlava con la sua parlata germanica (“con grande cioia vi saluto”) noi vedevamo dietro di lui il 264°, ultimo della fila, e all’inizio della fila il numero 1, origine di tutti i numeri, e più indietro il prima del primo, origine dell’origine. Ora il 266° si presta a un’intervista televisiva. Dietro di lui possiamo immaginare tutti i precedenti tranne il prima del primo, origine dell’origine. È da quell’origine che trae senso il sacro. L’intervista di papa Francesco a opera di Fabio Fazio non aveva nulla, ma proprio nulla, di sacro, non lo presupponeva nemmeno. Eppure abbiamo sempre bisogno del sacro, senza il contatto col sacro non potremmo vivere. Non è colpa della pandemia o dell’Ucraina, di Putin o di Macron, il bisogno di sacro è la condizione dell’esistenza, vivere significa oscillare fra timore e tremore, come dice Kierkegaard, e mentre papa Bergoglio ricordava con nostalgia il tango argentino, tutti i fedeli cattolici si domandavano che ne è del bambino marocchino morto nel pozzo a 30 metri di profondità, lui e gli altri come lui muoiono per la fine o per un nuovo inizio? Il papa esiste per questo. È questa la domanda a cui fino a ieri ci aiutava a rispondere il vicario dal n. 1 al 265 (con le inevitabili eccezioni), adesso con questa intervista televisiva il n. 266 risponde a tutt’altre domande. Che non ci aiutano a vivere, cosa difficile, e tanto meno a morire, cosa difficilissima: ci aiutano a passare il tempo, cosa di cui non abbiamo bisogno, perché il tempo passa da solo. Non c’è bisogno di trucchi per farlo passare. All’inizio dell’intervista l’orologio al polso del papa segnava le ore 17, e un minuto dopo le 17.30: dunque l’intervista è stata tagliata, come una banale intervista a un cantante o a un calciatore. Era una chiacchierata. Ma non si va dal papa per chiacchierare. Dal papa si va per parlare. Con chi, se non con lui?