il Fatto Quotidiano, 11 febbraio 2022
Sul libro di memorie di Francesco Paolo Figliuolo
Quest’anno l’8 marzo si colora doppio: festa della donna e festa di Francesco Paolo Figliuolo, che finalmente si racconta agli italiani: “Sono un alpino, non sono uno stupido”.
L’uomo con la penna, in senso proprio e metaforico, punta l’inchiostro al nostro petto per illustrarci, con l’aiuto di Beppe Severgnini (Un italiano, edito da Rizzoli) “il dietro le quinte” delle punture.
Il generale, confidente e ottimista, spiega che per lui questi dodici mesi (il 1º marzo scorso fu nominato da Mario Draghi commissario straordinario per l’emergenza Covid) sono stati straordinari e a tratti “entusiasmanti”. Se Figliuolo scrive solo adesso è perché prima non aveva avuto modo. Infatti detta a Severgnini: “Se uno passa il tempo in televisione o a rilasciare interviste come riesce a lavorare?”.
Bella domanda da girare ai colleghi della virologia transnazionale, dell’immunologia iperspaziale, dell’infettivologia continua che sono riusciti a sfornare titoli tempestivi e ricette esemplificative del buon vivere in un confronto sempre serrato col killer di sospetta provenienza cinese.
Virus (Burioni), Virosfera (Palù), Il virus buono (Silvestri) L’avventura dei polmoni (Richeldi), Il dopo (Capua), Il mondo dei microbi (Bassetti), Danzare nella tempesta (Viola) sono i primi volumi che ci vengono in mente e che certamente anticiperanno nel prossimo autunno la seconda (o forse è già la terza?) ondata di scienziati con la biro in mano e la telecamerina in spalla.
Un italiano è invece il diario di guerra dell’alpino chiamato a tener testa al virus.
Ora, e lo si scrive qui per chiarire un dubbio che potrebbe far capolino, non è che si voglia polemizzare col generale scegliendo di affidare l’anticipazione del libro a un cognome tipicamente militare, ma di rango così basso da far temere il dileggio del protagonista dell’articolo anziché la connessione. C’era urgenza di scriverne, tutto qua.
Conoscere Figliuolo, nato a Potenza dove ha vissuto fino al liceo, la sua passione per la divisa ma il turbamento per quale arma scegliere, dove andare, chi essere. Grazie al consiglio di un colonnello, amico di famiglia, il giovane Figliuolo sceglie gli alpini. “L’alpino – scrive inseguendo una proprietà transitiva concettuale – porta lo zaino. Ne porta anche due. È portato a riflettere”.
Contento dello zaino e della penna sul cappello, Figliuolo sceglie l’artiglieria di montagna perché ascolta i buoni consigli: “Lì si fanno le cose seriamente”.
Ecco che dunque questo “italiano” di buona famiglia meridionale, porta uno, due, dieci zaini. E tutto il peso della responsabilità, anche del coraggio, dell’ambizione, gli consentono di appuntarsi sul petto gli onori militari di una stagione lunga e vincente. Già Crozza lo ha raccontato con questa enorme placca ferrata di premi e tricolori sull’intero torace, con la giacca oramai zeppa di trofei personali al punto che i prossimi riconoscimenti che certamente avrà, potranno essere esibiti sulle pieghe dei pantaloni per via degli spazi ormai ridotti. Con Severgnini il generale si confida, racconta, spiega il dietro le quinte delle punture e poi la sua “entusiasmante” stagione.
Avevamo capito che questi due anni fossero stati terribili e assai poco entusiasmanti. Ma sono punti di vista.