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 2022  febbraio 11 Venerdì calendario

Intervista a Shonda Rhimes


Quello che scrive diventa oro. Se re Mida fosse uno sceneggiatore, sarebbe una donna di 52 anni nata a Chicago e finita anche nella classifica delle cento persone più influenti al mondo di Time. Quando Shonda Rhimes – autrice tra gli altri titoli di «Grey’s Anatomy», «Scandal», «Bridgerton» – intercetta una storia, sembra avere il potere di trasformarla in una serie tv di quelle che guardano tutti. Ora, con la sua casa di produzione, Shondaland, è pronta a lanciare su Netflix la sua nuova scommessa, «Inventing Anna», dieci episodi disponibili da oggi. Protagonista, Anna Sorokin, la finta ereditiera finita al centro delle cronache per aver truffato svariati milionari di New York.
Perché questo soggetto?
«Avevo letto gli articoli che parlavano di Anna Sorokin e la sua vicenda mi aveva appassionata. Era tutto avvincente, interessante: non solo Anna ma anche le donne che aveva accanto. Da quel momento ho iniziato a pensare quanto sarebbe stato bello fare una serie su di lei, per esplorare questa donna intelligente, carismatica, intraprendente e disposta a tutto per raggiungere i suoi sogni...».
Preferisce scrivere storie con protagoniste donne?
«Forse ci sono portata, ne sono attratta, ma non ci ho mai riflettuto. In generale tutte le storie che scrivo hanno tanti protagonisti che, a un certo punto, prendono il sopravvento sugli altri».
La serie sembra dirci di stare attenti alle apparenze.
«Perché noi viviamo nel mondo dell’apparenza. Un’epoca in cui tutto finisce sui social, in cui si crede a quello che si vede su Instagram. Un mondo in cui l’apparenza è tutto, a discapito della sostanza. Almeno così era qualche anno fa, nel 2017, quando è ambientata la serie: ora forse ci rendiamo conto che è ora di fare qualcosa».
L’élite milionaria americana non esce benissimo da «Inventing Anna».
«No, in effetti. Però è un mondo che ho cercato seriamente di analizzare nel profondo per rendere quei personaggi tridimensionali. C’è anche molta cronaca: il modo in cui Anna è stata trattata da alcune di queste persone e di come sia riuscita a prendersene gioco non ti fa sentire troppo in colpa per loro».
Nel primo episodio si parla del Mee Too dicendo che ormai è stato detto tutto. La vede così anche lei?
«Era più da un punto di vista giornalistico. Io non sono necessariamente d’accordo, penso anzi ci siano molte cose da dire su questo tema e che molto ancora vada fatto».
Ha mai avuto la tentazione di recitare?
«Io? O mio Dio no!... sono di certo una persona con molta immaginazione e passo un sacco di tempo davanti al mio computer dandole forma, ma non riesco neanche lontanamente a immaginare di stare davanti alla telecamere e recitare, penso sia l’esatto opposto del mio carattere. Il mio compito è consegnare una montagna di parole a persone con un grande talento, in grado di farle risplendere, di far prendere loro vita. La cosa stupenda del mio lavoro è vedere come si riverbera sugli attori che danno vita ai miei personaggi: è un processo che mi emoziona sempre molto assistere al contributo degli interpreti, molto più che farlo io».
Scriveva anche quando era una bambina?
«Sì, credo di essere sempre stata una scrittrice, in fondo. Già a tre anni raccontavo storie e le registravo su un nastro, ne ho sempre inventate tante... certo, nessuno le aveva mai recitate fino a quando sono diventata grande».
Sta per partire la seconda stagione di «Bridgerton»: immaginava questo successo?
«Durante il lockdown l’ho rivisto mille volte e pensavo fosse fantastico. Dopodiché no, non avevo il sentore che tutti l’avrebbero vista come me: la cosa mi ha scioccato. Però quel sentimento è sempre buono».
Pensa che la tv possa cambiare la società?
«Non lo penso io, lo dicono tanti studi che la cosa funziona così. Dopodiché il nostro lavoro è insegnare o intrattenere? Io dico intrattenere. Con responsabilità, certo. Quando scrivevo Grey’s Anatomy ero molto attenta alle informazioni mediche che mandavamo perché la gente le impara: non puoi permetterti di mandare messaggi sbagliati, ma il nostro obiettivo non era mandare messaggi medici. Il nostro lavoro è esplorare l’animo umano».
La sua serie tv preferita?
«Penso che la preferenza cambi tutte le volte, dipende da come ti senti in un certo momento. Al momento sono ancora ossessionata da “Dark” e sono davvero dispiaciuta e triste non ci sia più».