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 2022  febbraio 11 Venerdì calendario

Un plotone di mitrie da mitra. In Ucraina i preti ortodossi sono pronti a sparare prima di pregare

KIEV Stola e pistola. A 25 chilometri da Kiev, in un bosco di pini congelati nel vento siberiano, stalattiti di ghiaccio sulla barba, l’altra domenica il reverendo Andryi s’è presentato come da liturgia: lo sticario delle benedizioni, l’incensiere a oscillare nel fumo, di fronte a sé una decina d’impiegati e di casalinghe che passano ogni santo weekend ad addestrarsi per la guerra che verrà (verrà?) e a confidare più nell’arte dello sparo che nella virtù della speranza. Una rapida preghiera, il segno della croce e «slava heroyam!», gloria agli eroi.
Padre Andryi ha chiuso un paio d’ore la chiesa di San Michele e s’è dedicato alla sua nuova missione: confortare chi difende l’Ucraina. Se è il caso, dare anche una mano: «Siamo pronti ad andare al fronte. L’abbiamo già fatto. È nostro dovere».
Prima spara e poi prega: sono la nuova Unità Cappellani Militari della Chiesa Ortodossa d’Ucraina. Centoventi pope, cinquecento diaconi e sub-diaconi di riserva. Tutti inquadrati nelle forze armate, regolarmente stipendiati dal governo di Kiev.
Fino a dicembre, non esistevano e se la situazione non fosse precipitata, si sarebbero dovuti presentare ufficialmente solo il prossimo luglio. Sono qualcosa di più d’un semplice plotone di mitrie da mitra: ventisette mesi fa, e dopo tre secoli e mezzo d’unità mal sopportata, uno storico Concilio ha decretato lo scisma di mezza Chiesa ucraina da quella di Mosca. Basta considerarsi un solo popolo, come pretendono i russi: «Mille anni fa, i missionari bizantini vennero in missione a Kiev, non a Mosca. Siamo noi la culla della cristianità».
Parrocchie e basiliche
Da una parte 7 mila parrocchie e 44 diocesi, dall’altra 12 mila basiliche filo-russe
Oggi, apparentemente, soltanto una preposizione divide la nuova Chiesa Ortodossa di Ucraina filooccidentale dalla (vecchia) Chiesa Ucraina Ortodossa filorussa. In realtà, quel «di» è la faglia tra due mondi che cristianamente s’odiano da decenni: di qua il metropolita Epifaniy, 44 diocesi e settemila parrocchie, riconosciuto direttamente dal Patriarca ecumenico Bartolomeo di Costantinopoli e solo da tre delle 14 Chiese ortodosse autocefale, la greca, la cipriota e l’egiziana; di là, le dodicimila basiliche russofone dell’Est ucraino che rispondono al Patriarca Kirill di Mosca e pregano lo stesso Dio, ma sono fedeli a un solo Putin.
Quando scoppiò la rivolta di Maidan, nel 2014, centinaia di chiese ucraine rimasero senza messa perché il pope se n’era andato al fronte: padre Kostyantyn Kholodov, il vicecapo dei cappellani militari, all’epoca finì fotografato su tutti i siti con l’elmetto in testa mentre arringava le folle delle barricate di Kiev e per tre anni se ne andò volontario nel Donbass, assieme al suo curato che morì, pur di combattere i russofili. E fu uno scandalo nazionale, nel 2015, il parroco di Rivne che dal pulpito raccomandò ai fedeli di non pregare per le anime dei soldati ucraini caduti nell’Est, perché «chi fa la guerra alla Grande Madre Russia fa la guerra a Dio».
Separarsi e spararsi, è il destino. Putin in persona, l’estate scorsa, ha definito lo scisma un «attacco all’unità spirituale» dei russi. L’ex presidente Poroshenko gli ha risposto che gli ucraini vogliono «una Chiesa senza Putin».
Per chi suona la campana, padre Andryi lo sa già: «Nell’esercito ci sono anche i tatari della Crimea. Musulmani? Nessun problema: abbiamo anche i cappellani imam. Perché l’Ucraina è una sola fede».