la Repubblica, 11 febbraio 2022
Questioni di vita, questioni di borsa
In fondo al tunnel c’era una luce, ma si è spenta. Abbiamo viaggiato per due anni nella semioscurità di una condizione sconosciuta. Finalmente ci è stato detto che la galleria stava finendo, che all’esterno ci aspettavano le nostre città come le ricordavamo: piene di gente, eventi, luci. Che saremmo stati come prima, anzi un po’ meglio, resilienti e perciò ristorati. Proprio mentre stavamo abbassando le mascherine all’aperto per respirare questa frizzante aria del ritorno è ridisceso il buio. Su quegli stessi simboli che durante l’isolamento, per non farci sentire abbandonati, erano stati sovra-illuminati, magari con effetto tricolore per ricordarci lo sforzo collettivo, ieri sera è calata l’ombra dello scontento per l’aumento dei costi dell’energia. Quel che risulta evidente anche in questa tenebra monumentale è che la narrazione sul futuro dopo la pandemia, come tutte quelle che si avventurano in terre ignote, era basata su mappe improvvisate, speranze, desideri; e sulla forza di volontà che sì vale qualcosa, ma non basta a farsi destino. Quello, si sa, gioca sporco. Più che un baro è un ladro, che sotto minaccia pone l’immancabile alternativa: o la borsa o la vita. Così, ora che l’attacco alla vita s’indebolisce, si rafforza quello alla borsa.
L’inflazione, l’aumento dei costi delle materie prime e dell’energia non sono arrivati a sorpresa come il coronavirus, erano annunciati dagli stoccaggi, dai mercati finanziari, dalla banale intenzione di riguadagnare il tempo perduto. Il cifrario dei sogni che annunciava l’aumento del Pil e il sostegno del Pnrr si è scontrato con un dato di realtà che pesa sulla vita pubblica e privata, crea un ulteriore momento di difficoltà e ha spinto a questa risposta dei comuni: premere l’interruttore su off e oscurare, almeno temporaneamente, gli emblemi locali. Le luci di una città non sono un ornamento, ne rappresentano l’essenza, ne misurano la grandezza, diventandone in casi estremi l’identità. Parigi è “la Ville Lumiere” prima per essersi data l’illuminazione stradale poi per essere stata residenza principale dell’illuminismo e tra i due fenomeni c’è un filo che li collega. New York è detta “la città che non dorme mai” in realtà perché mai si spegne. La sua veglia è un effetto, un’insegna splendente, una finestra rischiarata. Il più noto romanzo di Jay Mc Inerney, da noi tradotto come Le mille luci di New York, si intitolava in originale Bright lights, big city, come se una città fosse nel fulgore delle sue lampadine. L’accensione provoca meraviglia, ma lo spegnimento dovrebbe aver avuto, dopo un analogo istante, la capacità di produrre consapevolezza. Non sono oscurantisti “no lux” ad aver ideato questa notte nera che si contrappone alla perduta allegria delle notti bianche. È un segnale che riguarda tutti, con il timore che l’effetto si propaghi dalle piazze ai tinelli, dalle statue ai comodini. Ogni fase storica ha le sue sfide, non ci sono capitoli in discesa: se mettiamo in salvo la vita, poi si pensa alla borsa.