La Stampa, 11 febbraio 2022
Memorie e audizioni. I numeri del Pnrr
ROMA
Immaginiamo Mario Draghi come l’ingegnere capo di un enorme progetto e chiamiamolo Recovery Plan. Immaginiamo che da Palazzo Chigi tocchi tenere d’occhio quel che succede in ogni angolo del cantiere. Ieri era il giorno dedicato al subappalto «Giustizia», riavviato dopo la pausa del voto sul Quirinale. Nel frattempo sono iniziati i problemi all’unità «Concorrenza».
Da due giorni nella commissione Industria del Senato ci sono le audizioni dedicate alla legge di riforma. Con molta fatica, prima di Natale Draghi aveva ottenuto il sì dei partiti in Consiglio dei ministri, ora c’è da affrontare il Parlamento. I resoconti non promettono nulla di buono: Enel, A2A, Assogas e Assoidroelettrica contestano le norme che liberalizzano il mercato dell’energia. Comuni, Regioni e Province chiedono di rinviare di due anni la messa a gara dei servizi di trasporto pubblico. Confartigianato, Confcommercio e Cna chiedono garanzie per gli stabilimenti balneari. Confindustria lamenta svariate «criticità e lacune», la Cgil dice che la legge «non risolve i problemi del Paese», i sindacati di base chiedono lo stralcio delle norme sui taxi. E siamo solo all’inizio: sono state programmate novanta audizioni, circa cinquanta memorie.
Che in Italia la politica fatichi a imporre le regole del mercato è un fatto. Di solito si erge a difesa delle corporazioni, spesso pubbliche, visto che lo Stato intermedia più di metà della ricchezza nazionale. Il Parlamento dovrebbe approvare una legge di riforma l’anno, negli ultimi dieci ci è riuscito una sola volta, nel 2017. L’ultima volta in cui la politica è stata capace di imporre un pacchetto significativo di liberalizzazioni al governo c’era Pierluigi Bersani: correva il 2006.
Quest’anno la faccenda è più delicata del solito. Basta scorrere il piano consegnato dal governo Draghi a Bruxelles, e le decine di impegni da rispettare entro il 31 dicembre di quest’anno. A pagina 142 c’è il traguardo M1C2-6 (la numerazione è questa, ndr), dedicato all’approvazione «della legge annuale sulla concorrenza». I traguardi e gli obiettivi in cima alla lista sono quelli più invisi ai partiti: riforma dei servizi locali, e per energia, trasporti e rifiuti. Settori in cui operano decine e decine di aziende comunali e regionali.
Per Draghi la legge sulla concorrenza è un problema politico e di tempi. Non solo deve convincere i partiti a sostenerne l’approvazione, ma sperare che lo facciano in fretta. La dichiarazione del commissario Paolo Gentiloni a proposito della riforma delle concessioni balneari è il segnale che i problemi del cantiere iniziano a preoccupare anche Bruxelles. Il relatore della legge in Senato, Stefano Collina (Pd) ha promesso tempi comodi: «Speriamo di approvare la legge entro la fine dell’estate». Sotto la garanzia dell’anonimato una fonte di Palazzo Chigi risponde così: «L’iter è più complesso di quel che alcuni immaginano. Se la legge non viene approvata entro giugno, non ci sarà il tempo per i provvedimenti successivi di attuazione. In quel caso ottenere la seconda tranche del Recovery Plan non sarebbe scontato».
Che la concorrenza sarebbe stata il vero ostacolo per il successo del Recovery, a Palazzo Chigi lo sanno sin da prima dell’arrivo di Mario Draghi. A Bruxelles sperano che la competenza e l’esperienza dell’ex direttore generale del Tesoro facciano la differenza, ma in questo caso non bastano frasi a effetto nel momento giusto. Draghi dovrà mobilitare tecnici e sottosegretari disposti a passare nottate nelle Aule, smussare gli angoli, evitare gli agguati delle lobby. Per conquistare il primo finanziamento del Recovery le strutture ministeriali hanno strappato diversi compromessi a Bruxelles. Quest’anno sulla concorrenza la fantasia non potrà superare la sostanza. Fatta eccezione per la liberalizzazione dei taxi, la legge non potrà essere stravolta, perché non chiede nulla di più di ciò che impone il cronoprogramma del Recovery. Per mantenere la promessa fatta due giorni fa a Genova di centrare di nuovo gli obiettivi, a Draghi deve riuscire il miracolo di ottenere un passo indietro dei partiti e delle lobby a un anno dalle elezioni.—