Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  febbraio 11 Venerdì calendario

Le nuove frontiere dell’agricoltura

Digitalizzazione per il controllo e la perfetta gestione dei campi, droni e immagini satellitari, ma anche tecniche rigenerative del suolo e protezione della biodiversità: un mirato mix di hi-tech e modelli virtuosi per l’ambiente apre interessanti prospettive di un domani già cominciato
Fare previsioni sull’evoluzione del sistema agroalimentare non è mai stato facile. Molti scenari non si sono avverati, altri non sono stati neanche ipotizzati. Chi è nato negli anni Sessanta ricorderà che all’epoca si prevedeva che nel XXI secolo avremmo mangiato solo pillole. Sappiamo che è successo esattamente l’opposto: c’è stato il boom della gastronomia e gli chef sono entrati nello star system. Negli anni Settanta, in pieno boom demografico, la previsione era che il cibo non sarebbe bastato per tutti. Invece, da allora in poi la produttività dei campi è cresciuta talmente tanto che oggi sprechiamo circa un terzo della produzione alimentare mondiale (ossia quattro volte la quantità di cibo necessaria per sfamare gli 800 milioni di persone sottonutrite in tutto il pianeta).
Invece, non abbiamo previsto in tempo che le pratiche agricole degli ultimi decenni, incentrate su monocolture intensive e chimica di sintesi, avrebbero causato gravi danni all’ambiente: inquinamento del suolo, riduzione delle riserve idriche, perdita di biodiversità e soprattutto emissioni di anidride carbonica che, insieme alla deforestazione, hanno accelerato l’effetto serra e il conseguente riscaldamento globale. Tutto ciò obbliga oggi l’agricoltura a un drastico cambio di rotta. Le aziende più lungimiranti nel settore agroalimentare si sono già mosse, avendo intuito che la sostenibilità della filiera è ormai la precondizione per la loro competitività. Altre seguiranno presto, anche per assecondare un mercato fatto da catene distributive e consumatori che chiedono con insistenza comportamenti più responsabili. In questa prospettiva, l’Italia ha tutte le carte in regole per assumere il ruolo di Paese guida. Da sempre ci viene riconosciuta una indiscussa competenza su tutto ciò che riguarda il cibo, ma oggi possiamo anche dimostrare che siamo in grado di innovare l’agricoltura per essere più sostenibili.
Per esempio, sfruttando la convergenza tra competenze agronomiche e nuove tecnologie (la cosiddetta agricoltura 4.0) che permette lo sviluppo di soluzioni digitali in grado di raccogliere ed elaborare i dati che aiutano gli agricoltori a prendere decisioni corrette. Quando è veramente necessario fare trattamenti fitosanitari? Quanto è il fertilizzante minimo da dare alle piante? Un buon esempio di “Decision Support System” è quello di XFarm che, grazie all’uso di sensori collegati a smartphone, computer e tablet, abilita il controllo da parte dell’agricoltore su tutte le attività relative alla coltivazione, comprese le emissioni di anidride carbonica, l’acidificazione dei suoli, l’eutrofizzazione delle acque e il consumo idrico.
Innovazione per la sostenibilità è la strategia di Genagricola, che ha deciso di orientare le sue aziende sparse sul territorio italiano sempre di più verso la cosiddetta agricoltura “rigenerativa”, per migliorare la produzione rispettando la natura del terreno. Grazie a droni e immagini satellitari un’altra azienda, la Molini Pivetti, riesce a selezionare i campi e i grani più adatti per ogni territorio, con l’obiettivo di massimizzare la qualità della farina e ridurre il più possibile l’impronta lasciata sull’ambiente. Tra i big della stessa filiera c’è Barilla, che insieme al Wwf ha proposto agli agricoltori un protocollo basato sulla rotazione delle colture e sull’impegno a destinare una parte dei campi alla biodiversità. E ha anche avviato una partnership con la startup Zero, per produrre basilico e altri micro- ortaggi tramite la tecnica innovativa del vertical farming, per eliminare i consumi d’acqua e qualunque prodotto fitosanitario.
Un altro approccio, che nel passato era la regola e oggi si cerca di recuperare, è quello dell’economia circolare, intesa come strategia per ridurre qualunque tipo di spreco o rifiuto. Un caso esemplare è quello di Dalma, che impiega gli ex-prodotti alimentari (per esempio scarti di biscotti, pasta, pane e merendine) per l’alimentazione in campo zootecnico. Strategia analoga a quella adottata da Skretting, multinazionale nordeuropea leader nella mangimistica che, grazie a un innovativo mix di ingredienti e uso di fonti energetiche alternative, ha lanciato F4F, un mangime che permette agli allevatori di pesce di neutralizzare il loro impatto ambientale in termini di emissioni. Quello della carbon neutrality è una corsa che presto o tardi riguarderà tutti e sarà il primo passo verso l’ambizioso obiettivo “net zero”, ossia l’eliminazione delle emissioni di anidride carbonica. Su questo fronte Barilla tra i primi a partire vanta già quattro prodotti carbon neutral: Wasa, Grancereale, Mulino Bianco e Harris. Quando gli ingredienti provengono da Paesi in via di sviluppo, come nel caso della filiera del cacao, la sostenibilità implica attenzione anche a questioni di tipo sociale. Ferrero, per esempio, si approvvigiona solo di materie prime certificate sostenibili e, per tutelare le fasce di popolazione più vulnerabili, ha attivato partnership con diverse Ong e posto in essere progetti di agro-forestazione (circa tre milioni di alberi) per incoraggiare i coltivatori di cacao (oltre 70mila principalmente in Africa) ad affiancare alle piante di cacao coltivazioni di frutta, verdura o alberi da legno. Questo per tutelare la biodiversità e fornire prodotti da consumare e vendere sul mercato locale.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Carlo Alberto Pratesi è ordinario di Economie e Gestione delle Imprese all’ Università Roma Tre, presidente di Eiis, European Institute of Innovation for Sustainability. Esce oggi il suo libro “Il cibo perfetto” scritto insieme a Massimo Marino (Ed. Ambiente)
Semina 4.0 I vigneti di Torre Rosazza, la cantina di Genagricola sui Colli Orientali, in Friuli. Sotto: la semina “digitale” a Ca’ Corniani, in Veneto
WORLD COCOA FOUNDATION
Il progetto
Una nursery di piante in Costa d’Avorio nell’ambito dei progetti di agro-forestazione promossi da Wcf (World cocoa foundation) e finanziati da Ferrero in Africa

Un’agricoltura che massimizza la produttività, sfruttando il suolo e usando in modo sconsiderato fertilizzanti, diserbanti e antiparassitari chimici, non può andare avanti. Per un motivo molto semplice: non dura nel tempo. Il terreno, se non viene rispettato nelle sue caratteristiche naturali, perde rapidamente la capacità di generare valore per chi lo coltiva.
Quindi, l’agricoltura intensiva quella della “green revolution”, sebbene abbia portato aumenti di produttività, non è più sostenibile.
Non solo dal punto di vista ambientale, ma anche sociale ed economico. Il rispetto delle peculiarità e vocazione di ciascuna area produttiva affinché il suolo possa produrre cibo anche per le prossime generazioni è la missione di Genagricola, la holding agro-alimentare controllata da Generali Italia. Fondata nel 1851 con la prima e più grande bonifica ad opera di privati della storia d’Italia (ha compiuto 170 anni lo scorso anno) oggi per estensione dei terreni coltivati è la maggiore azienda agricola italiana (15mila ettari in 25 aziende agricole tra Italia e Romania). «La formula della sostenibilità per noi ha un nome», spiega Igor Boccardo, amministratore delegato di Genagricola, «ed è agricoltura rigenerativa, un insieme di pratiche agronomiche finalizzate al ripristino del suolo e al “carbon farming”, ossia il sequestro di anidrida carbonica, come indicato dalla Ue nell’ambito della strategia di mitigazione della crisi climatica.
Ripristinare il terreno vuol dire, per esempio, dare nuova vita ai batteri (il cosiddetto microbiota) che, fertilizzando naturalmente la terra, consentono una riduzione degli apporti chimici fino al 95%». In questa prospettiva, le aziende agricole, che dal Friuli alla Calabria, fanno capo a Genagricola producendo colture erbacee, allevamento, energia da fonti rinnovabili e forestazione, stanno vivendo un profondo processo di rinnovamento. «Oltre 2000 ettari di terreno, quasi il 15% dell’intera superficie coltivata, sono stati divisi tra foresta naturale, aree umide, zone di ripristino ambientale e strisce di impollinazione», sottolinea Daniele Colombo, Responsabile area nord, allevamenti e agroenergie. «Dove possibile cerchiamo di ripristinare l’ecosistema, anche ricreando quegli stagni che un tempo venivano considerati aree da bonificare e oggi sappiamo che insieme alle siepi e ai boschi, ospitano insetti, uccelli e mammiferi selvatici la cui sopravvivenza, costantemente minacciata, è indispensabile per l’equilibrio naturale dei campi». Ma l’agricoltura rigenerativa non bastano solo i principi dell’ecologia, servono anche nuovi strumenti. «Per utilizzare le risorse (in primis l’acqua) solo quando e dove realmente servono occorrono dati precisi e tecnologie in grado di raccoglierli ed elaborarli», aggiunge Igor Boccardo. «Per questo l’azienda adotta tutte le soluzioni offerte dall’innovazione: dai software predittivi che elaborano le informazioni generate da sensori e centraline agrometeorologiche per orientare le scelte agronomiche, alle macchine agricole guidate da sistemi Gps, che si interfacciano con le mappe di “prescrizione”, stabiliscono il trattamento di ogni particella di terreno e, riconoscendo la posizione del veicolo, dosano acqua, nutrienti, fitofarmaci o le sementi».
La strada verso la sostenibilità è lunga e Genagricola non vuole fermarsi. Investirà sia sul versante energetico, promuovendo uso intensivo di fonti rinnovabili (come il fotovoltaico o le biomasse), sia sperimentando nuove colture e nuovi metodi di coltivazione.
@font-face {font-family:"Cambria Math”; panose-1:2 4 5 3 5 4 6 3 2 4; mso-font-charset:0; mso-generic-font-family:roman; mso-font-pitch:variable; mso-font-signature:-536870145 1107305727 0 0 415 0;}@font-face {font-family:Calibri; panose-1:2 15 5 2 2 2 4 3 2 4; mso-font-charset:0; mso-generic-font-family:swiss; mso-font-pitch:variable; mso-font-signature:-469750017 -1073732485 9 0 511 0;}p.MsoNormal, li.MsoNormal, div.MsoNormal {mso-style-unhide:no; mso-style-qformat:yes; mso-style-parent:"”; margin-top:0cm; margin-right:0cm; margin-bottom:10.0pt; margin-left:0cm; mso-pagination:widow-orphan; font-size:48.0pt; mso-bidi-font-size:28.0pt; font-family:"Times New Roman”,serif; mso-fareast-font-family:Calibri; mso-fareast-theme-font:minor-latin; mso-fareast-language:EN-US; mso-bidi-font-style:italic;}.MsoChpDefault {mso-style-type:export-only; mso-default-props:yes; font-size:48.0pt; mso-ansi-font-size:48.0pt; mso-bidi-font-size:28.0pt; mso-fareast-font-family:Calibri; mso-fareast-theme-font:minor-latin; mso-fareast-language:EN-US; mso-bidi-font-style:italic;}.MsoPapDefault {mso-style-type:export-only; margin-bottom:10.0pt;}div.WordSection1 {page:WordSection1;}