la Repubblica, 11 febbraio 2022
Che cosa ci si gioca con il referendum sulla giustizia
Cosa si gioca sui referendum
Superata la boa del Quirinale, con l’amministrazione del Pnrr lasciata nelle mani di Mario Draghi, le forze politiche hanno concentrato l’attenzione su un appuntamento decisivo ma quasi scomparso dal dibattito quotidiano. Martedì prossimo, infatti, i 15 giudici della Corte costituzionale, guidati ora da Giuliano Amato, dovranno vagliare l’ammissibilità di 8 quesiti referendari. Una riunione che tiene tutta la politica e i vertici istituzionali con il fiato sospeso perché, da quella decisione, potranno derivare a caduta conseguenze molto rilevanti.
Parliamo anzitutto del tema della giustizia, oggetto di sei quesiti su otto, quelli presentati dal partito radicale e dalla Lega.
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La Consulta e gli otto quesiti su diritti e giustizia
di Francesco Bei
segue dalla prima paginaa P roprio oggi la ministra Cartabia porterà in Consiglio dei ministri la versione definitiva degli emendamenti al ddl di riforma del Csm incagliato in Parlamento dal 2019. Basta leggere le anticipazioni per capire quanto la “riforma” Cartabia sia ben poca cosa rispetto allo tsunami che investirebbe la magistratura con l’approvazione dei sei quesiti, primi fra tutti quelli sulla separazione delle carriere, la responsabilità civile dei giudici, i limiti alla custodia cautelare, l’abrogazione della legge Severino.
Tuttavia, al di là del merito dei quesiti, la questione più importante da sollevare alla vigilia della riunione della Consulta è un’altra. E ha a che vedere con quella crisi della democrazia così acutamente analizzata di recente dall’Economist. Anche in Italia i segnali di una crescente disaffezione verso la rappresentanza democratica abbondano da anni, solo a volerli vedere. Ci eravamo quasi dimenticati della scarsa partecipazione al voto nelle ultime amministrative di ottobre, che è arrivata la gelata delle suppletive nel centralissimo collegio elettorale della Capitale, dove ha votato soltanto l’11 per cento degli aventi diritto.
Se i giudici costituzionali consentissero al popolo di esprimersi sui referendum, si aprirebbe nel Paese un vivace dibattito pubblico, le forze politiche si dividerebbero, com’è normale che sia, anche al loro interno; sarebbe una grande festa di democrazia e partecipazione. Pensiamo ai due referendum sui “diritti”: il primo prevede la depenalizzazione della coltivazione e del consumo personale della cannabis (resterebbe punito lo spaccio), il secondo legalizzerebbe in Italia l’eutanasia a tre anni dal caso di dj Fabo. Sono quesiti che hanno ricevuto un importante sostegno tra i più giovani, corsi in massa a firmare anche online: il referendum sull’eutanasia è stato sottoscritto da un milione e duecentomila persone, quello sulla cannabis da 630 mila. In tempo di disimpegno dei giovani, di chiusura “causa Covid” delle piazze, salvo la recente mobilitazione studentesca, sarebbe davvero uno spettacolo assistere a un risveglio democratico di ragazze e ragazzi rimasti da anni in una sorta di ibernazione civile.
Se ammessi i referendum sarebbero votati in primavera, in una domenica tra il 15 aprile e il 15 giugno. Sarebbe ragionevole prevedere a quel punto un election day per abbinare i quesiti alle amministrative che coinvolgono un migliaio di Comuni. E sarebbe divertente scommettere se, una volta tanto, fossero i referendum a trainare l’affluenza alle urne per le amministrative, anziché il contrario come vuole la vulgata.
E veniamo alle possibili conseguenze politiche, quelle che interessano di più i partiti. Certo, è prevedibile che il risultato referendario abbia l’effetto di uno scossone su tutto il sistema. Ma si sbaglierebbe a dare per scontata una crisi della maggioranza e quindi un pericolo per il governo Draghi. L’esecutivo è neutrale, non è affatto coinvolto nella campagna, nessuno degli otto referendum cancella una legge dell’agenda Draghi, nessuno conosce il pensiero del presidente del Consiglio sui singoli quesiti. Se sui diritti civili e sulla giustizia le forze politiche sono paralizzate dai veti reciproci – come si è visto sul disegno di legge Zan – perché dovrebbe essere visto come un pericolo lasciare che a sciogliere questioni di coscienza siano finalmente i cittadini? Al contrario, il sistema si riconnetterebbe con la base e la democrazia farebbe un passo in avanti. Sperare che in questo Parlamento accada il miracolo è una pia illusione. Lo abbiamo appena constatato con l’ennesimo rinvio sulla legge per il “suicidio assistito”, che vede gli stessi numeri di blocco del ddl Zan. Dunque auguri ai giudici che martedì si chiuderanno in camera di consiglio.
Ricordando a noi stessi che l’articolo 75 della Costituzione dice che sono inammissibili soltanto i referendum “per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali”. Altro la Carta non aggiunge. Per citare il Vangelo di Matteo, “il di più viene dal Maligno”.
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