la Repubblica, 10 febbraio 2022
In morte di Donatella Raffai
Ti faccio cercare dalla Raffai. Ed era la prima volta che era diventato uso comune citare un personaggio preciso, televisivo, come parte per il tutto, per rimproverare qualcuno di una lunga assenza. Era merito, o colpa, di Chi l’ha visto, il più longevo lascito della leggendaria o pressoché mitica tv di Angelo Guglielmi. Quella Rai 3 che sovvertiva gli schemi e non si curava di particolari ortodossie. Per cui nel racconto popolare che diventava tv, il capitolo “gente che scompare” (che ha innervato per esempio nei secoli tantissima letteratura, non solo noir) aveva conquistato da subito il favore popolare. Ai tempi si registravano anche otto milioni di spettatori a puntata, ed è vero che non c’era molta altra tv ma fa impressione lo stesso.
Donatella Raffai, prima con Paolo Guzzanti – era il 1989 – e poi con l’avvocato Luigi Di Majo (tranquilli, un altro, e con la J) intanto fondava un genere, fissava per sempre i contorni di un programma destinato a durare oltre i trent’anni e di cui non solo non si vede la fine ma soprattutto non si capisce perché dovrebbe mai finire. Con uno stile suo che mescolava esperienze anche da attrice ma soprattutto l’inesausta volontà della narrazione di cose forti e che interessavano alla gente – vedi l’esordio con Corrado Augias, scrivendo insieme lo storico Telefono Giallo, e quel passo nessuno è mai più riuscito a tenerlo nelle decine di programmi simili negli anni a venire.
Quel piglio alla Raffai che produsse poi una delle battute più belle mai vergate in campo televisivo: c’era Antonio Ricci ed era il miglior battutista italiano (lo sarebbe ancora, ma si è dedicato ad altro da tempo) e disse: “La Raffai gronda umanità da ogni artiglio”. Magnifica in sé ma soprattutto una polaroid, più che una definizione.
La sua storia personale la vede abbandonare il programma e poi ritornarvi a furor di popolo, o meglio convinta dall’insistenza (che non doveva essere poca cosa) di Angelo Guglielmi. Ma è proprio lì che lei inizia a manifestare il top dell’insofferenza: intanto aveva provato altri programmi, intanto il fuoco del racconto, per altre vie, di storie forti e importanti non si spegneva e lei provava comunque. E non andava bene, e non funzionava, perché la tv è una bestia implacabile e lei era la Raffai e la gente aveva bisogno del suo nome per sintetizzare il concetto di scomparsa, di sparizione: e anche per fare già indignare, all’epoca, quelli che invece chiedevano: ma se è scomparso avrà avuto i suoi motivi, perché cercarlo?
Finché un giorno – e si intuiscono con la Rai dissidi profondi, ci sono interviste rancorose, poche ma ci sono, c’è la nuova Rai a conduzione Letizia Moratti assai identificata politicamente e Raffai denuncia subito l’emarginazione “anche” politica – l’ex ragazza marchigiana di Fabriano decide semplicemente che per non essere più quella di Chi l’ha visto doveva, semplicemente, annullare la sé stessa televisiva e, semplicemente, sparire. Quasi a diventare un oggetto del suo programma e non il soggetto che il programma lo costruisce, lo conduce, lo incarna.
Semplice come analisi, ovvio, ma è andata davvero così: via da tutto, in Francia e in giro, lasciando che non il mistero, ma il diritto alla sparizione prendesse il sopravvento. E chiedendo all’universo mondo di essere lasciata in pace e di essere dimenticata. Davvero impressionante, in una storia così.
Come detto e come ognuno sa, Chi l’ha visto resiste da oltre trent’anni e si è ormai solidificato insieme all’idea di tv come una volta, ai bei tempi, di Rai, di Servizio Pubblico. Che dentro, e ai gradi più alti, abbia ospitato anche – e soprattutto – una storia come quella di Donatella Raffai è ancora più impressionante.