Corriere della Sera, 10 febbraio 2022
Piero Pelù si confessa. Un’intervista
Firenze. Qualche giorno fa abbiamo appreso con sbigottimento che Vasco è arrivato al fatidico traguardo dei 70 anni. Sbigottiti perché si pensa che i rocker non invecchino mai. Ma oggi, la doppietta è di quelle che lasciano tramortiti, perché a compierne 60 è Piero Pelù: «Se penso a quanti se ne sono andati della mia generazione, portati via dall’eroina, è un miracolo» dice, tra il sollevato e il malinconico, dalla sala prove vicino Firenze. Dove sta provando con i Litfiba per il tour «L’ultimo girone» (dal 26/4) in cui si è ritrovato con l’amico ( talvolta anche rivale) Ghigo Renzulli per il valzer d’addio di quella che rimane una delle più importanti rockband italiane.
Insomma, come per Vasco, il tempo passa anche per il rock’n’roll...
«Beh lui, come Mick Jagger e Iggy Pop, rimane un bel punto di riferimento. Significa che qualche annetto posso andare ancora avanti...».
Lui e lei, Piero, andaste a Sanremo, appena finito. Un posto apparentemente impensabile per voi.
«Nel 2020, erano quaranta gli anni della mia carriera. E volevo provare anche un palco dove non ero mai stato».
E ci è andato a modo suo, con la corsa in mezzo al pubblico, come Grignani, e la celebre borsetta «rubata» a una signora.
«Grignani non l’ho visto, ero a Verona, a un concerto di mia moglie Gianna: io, per conto mio, sono una gazza ladra... Ho visto però Mahmood e Blanco, bravissimi».
Amadeus è stato chiamato da Mattarella: da sempre il suo cuore batte a sinistra, Piero. Cosa pensa della rielezione?
«Che c’è rimasto solo lui. E che, se i miei valori sono quelli di sempre, oggi credo solo nel partito del rock’n’roll»
E a Sanremo conobbe la compianta Raffaella Carrà.
«Nel 2001 mi fece fare un monologo sulle mine anti-uomo, quando non si usava parlare d’altro, come oggi. Da allora l’ho amata svisceratamente. Tanto più a «The Voice», dove abbiamo fatto coppia fissa. E dove ho scoperto che fumava come una camionista turca: pensi un po’, il rocker che doveva rimproverare la conduttrice perbene».
A Sanremo sono tornati i Måneskin.
«Nonostante il successo planetario, sono un gruppo che si migliora sempre. Impressionanti».
Loro iniziano, voi finite. Ma chi sono stati i Litfiba?
«Abbiamo toccato delle corde che non pensavamo, ciò che sentivamo noi, sentiva il pubblico. Non ho mai fatto musica con intenzioni mercenarie; era il solo modo per salvarmi dal mio disagio, dalla mia inadeguatezza, dalla mia ombrosità, dalla mia solitudine, dalla mia timidezza».
A proposito di salvataggi: il tour si chiama appunto «L’ultimo girone», con Aldo Cazzullo legge Dante, forse un inferno a cui è scampato è l’eroina di cui sopra.
«Sì, è stato il nostro Vietnam negli anni 80, per l’eroina ho perso più che un compagno di band, un fratello, Ringo De Palma. Io la odiavo e mi preoccupa che stia tornando di nuovo e i ragazzi di oggi non sappiano cosa significhi».
A 60 anni si smentiscono le leggende metropolitane: la prima, alimentata dagli altri, è che lei avesse cantato la sigla di «Jeeg Robot d’acciaio»
«Ah ah, magari. No, si chiamava Roberto Fogu il cantante. Comunque poi l’ho incisa anch’io».
Un’altra, alimentata da lei, ai tempi de «L’anello no, no non te lo do» è che non si sarebbe mai sposato. Perché ha ceduto?
«Se trovi una donna con cui hai cosi tanti punti in comune, uno scambio continuo così profondo e sincero, perché non farlo?»
I figli sono tre, è anche nonno, pensate al quarto?
«No, non mi vedo a 76 anni a litigare con un adolescente, ad aspettarlo in incognito con baffi finti e occhiali fuori da una discoteca».
E a 60 anni si fanno i bilanci: la cosa di cui va più fiero?
«Essermi occupato appieno delle mie figlie. E, artisticamente, non aver mollato mai, neanche nei momenti più bui».
L’errore più grande che ha commesso?
«Ne ho fatti talmente tanti, ma non rinnego niente. Perché se sono qua oggi è anche per quegli errori».