la Repubblica, 10 febbraio 2022
Intervista a Juan Gómez-Jurado
Antonia Scott non ha paura di nulla tranne che di se stessa. Ogni giorno immagina per tre minuti il modo in cui suicidarsi: ritiene che questo la mantenga sana di mente. Non capisce il sarcasmo, conta, analizza ed elenca ogni cosa, ma la sua mente non si comporta come in quei film in cui si vedono sfilze di numeri sul volto del protagonista che sta pensando. Il suo cervello è piuttosto una giungla piena di scimmie che portano cose spaventose. Le basta osservare la scena di un delitto per comprendere cosa abbia mosso la mano dell’assassino. Jon Gutiérrez, invece, è un gigante dal cuore tenero, ispettore della polizia di Bilbao, reclutato per fare da spalla ad Antonia e risolvere casi agghiaccianti da uno scrittore che fino a qualche tempo fa era, almeno dalle nostre parti, uno sconosciuto e che invece all’improvviso ha cominciato a scalare le classifiche diventando per tutti il re del thriller spagnolo. Juan Gómez-Jurado è l’autore di una trilogia che in Spagna ha venduto un milione e 800 mila copie e che sta facendo il giro del mondo, tradotta in 17 lingue, per arrivare anche in televisione con la promessa di eguagliare il successo de La Casa di Carta. In Italia lo ha portato Fazi, che a pochi mesi dal primo capitolo della trilogia, Regina Rossa, manda ora in libreria Lupa Nera : morti ammazzati, mafiosi russi, pericolose sicarie, ineffabili spie e tanto humour.
Gómez-Jurado, chi è nato prima? Antonia o Juan?
«Antonia, una donna fuori dal comune, ma piena di fragilità e sensi di colpa. È la somma di tante donne che ho conosciuto, incredibilmente intelligenti, ma costrette dalla vita a nascondere le proprie capacità perché l’intelligenza non sempre viene apprezzata, anzi a volte provoca un rifiuto. Era un personaggio così complesso che per far risaltare la sua umanità aveva bisogno di un compagno che fosse l’opposto: dolce, protettivo, rassicurante. Ecco allora Jon Gutiérrez».
Un detective che infrange molti dei cliché della letteratura di genere: non è un macho all’hard boiled, ma un uomo sensibile. Ed è gay. Una scelta politica?
«No, un meraviglioso accidente. Jon ha una fisicità importante, è una montagna di 110 chili, non che sia grasso, ma imponente. Incute timore, fatico a immaginare qualcuno più mascolino di lui. Ma il fatto che sia gay cancella ogni equivoco. La loro è una relazione profonda, ma senza attrazione sessuale».
È questo il segreto del successo?
Togliere di mezzo il sesso?
«Il sesso è sopravvalutato! La verità è che non ho la più pallida idea di come si scriva un bestseller. Non si tratta di uno schemino ritagliato sul gusto del consumatore e costruito da un algoritmo. L’unica certezza è che lo scrittore fa solo metà del lavoro, il resto è merito dei lettori. Nel mio caso penso che siano stati attratti da Antonia e Jon perché sono personaggi buoni, ma imperfetti. Si muovono in un mondo ostile e duro e si proteggono a vicenda».
Un mondo reale?
«Una metafora del mondo reale.
Viviamo ogni giorno sull’orlo del baratro, basta leggere i giornali per entrare in allerta: il coronavirus, la crisi economica e quella ambientale, i totalitarismi, le guerre, la criminalità, la corruzione…».
La Malaga che racconta in “Lupa Nera” è territorio di conquista di clan mafiosi russi. Anche questa una metafora?
«Per me la vera Malaga è quella delle persone amabili e perbene, ma se Antonia e Jon la attraversano non vedono quello che vediamo noi. Non accade mai con gli investigatori, neppure con quelli in carne e ossa.
Loro osservano le città da un’angolazione diversa, cercano criminali, cadaveri, cocaina. Sono esposti quotidianamente al peggio dell’uomo».
Lei è lo scrittore dei record. E non si tratta solo di vendite. Antonia è il
primo personaggio letterario ad avere un emoji sui social.
«È un grande onore, lo vivo con orgoglio anche perché io utilizzo moltissimo la Rete, sono una specie di libro aperto, su Twitter parlo costantemente con i miei lettori».
Cosa le chiedono?
«In questo periodo una cosa soprattutto: quando scriverò una nuova indagine. In Italia siamo arrivati alla pubblicazione del secondo libro, ma in Spagna è già uscito il terzo e tutti vogliono sapere quando incontreranno di nuovo Antonia e Jon. Me lo chiedono sul web e pure per strada. Qualche giorno fa stavo raccogliendo gli escrementi del cane sul marciapiede e un signore che passava correndo mi ha urlato: “Quando tornano Antonia e Jon?”. Ma come, tu stai facendo footing e io mi sto occupando del cane, e dobbiamo parlare di questo? Siamo scoppiati entrambi a ridere».
Presto incontreremo la coppia investigativa in televisione, una serie Amazon Prime basata sulla sua trilogia. Che impressione le fa?
«Ho moltissima paura, ma non per eventuali paragoni. Non penso alle serie spagnole diventate un fenomeno internazionale. Avverto la responsabilità di dare un volto, una gestualità, una voce ai miei personaggi. Sto assistendo ai casting, ogni attore ne offre una interpretazione differente e la notte tutti quei volti non mi lasciano dormire. Chi è Antonia fra loro?».
Esiste una specificità del crime spagnolo?
«Gli spagnoli come gli italiani sono un popolo passionale, idealista che abita zone di luce ma anche di ombre cupe e profonde. Abbiamo dirigenti corrotti e criminalità feroci, il nostro è un mondo pieno di contraddizioni e tutto ciò si riflette nella letteratura di genere. Il crime anglosassone è più razionale, il nostro più viscerale.
Sono fiducioso che il giallo mediterraneo, nelle sue tante declinazioni, finirà per affascinare il mondo».