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 2022  febbraio 10 Giovedì calendario

Il caro energia pagato dalle imprese

«Siamo nella morsa di una tenaglia». Lo dice con un sospiro, per averlo ripetuto troppo spesso negli ultimi mesi. Da imprenditrice a capo dell’azienda di famiglia – Pasta Granoro, uno dei marchi più noti dell’alimentare italiano – Marina Mastromauro è abituata a non abbattersi, a trovare sempre un modo per superare le difficoltà. Ma in una situazione simile non si era mai trovata: «Il prezzo del gas è triplicato, la bolletta dell’elettricità salita del 150 per cento, la materia prima del 120: eccola la tenaglia. Parliamo di un prodotto semplice come la pasta, fatta di semola di grano duro e acqua. Se un chilo di semola lo pagavo 40 centesimi, ora siamo a 85-88 centesimi. E certo non posso recuperare su altre componenti perché c’è solo quella. Tutto è aumentato, anche gli imballaggi e il trasporto. Tra un po’ sarà il disastro».
A mano a mano che racconta, dallo stabilimento di Corato in provincia di Bari, Mastromauro ritrova la sua voglia di non arrendersi. Anche di fronte a una tempesta perfetta, come è stata definita la folle corsa dei prezzi dell’energia che ha colpito l’economia mondiale. Ma che in Europa e in Italia, penalizzate dalla loro dipendenza dalle importazioni di gas, sta colpendo più duro. Molto più duro. La tenaglia stringe da Nord a Sud, tutti settori industriali: gli energivori come le grandi acciaierie, i cementifici e i ceramisti, ma ancora di più le aziende medie e piccole, dalla meccanica all’alimentare, meno attrezzate a fronteggiare rincari senza precedenti. Al punto da trovarsi di fronte a scelte radicali. «Prima o poi però dovrò scaricare gli aumenti sul prezzo finale: ma dove puoi arrivare? Massimo a un euro al chilo», dice Mastromauro. «Dopo non ci resta che ridurre i volumi, produrre meno. Non voglio mettere in cassa integrazione nessuno. Abbiamo 115 dipendenti, 300 con l’indotto: penso alle loro famiglie. Ma l’ho messo in conto ed è l’unica strada per evitare di ricorrere alle banche». Spegnersi, con il rischio di spegnere anche la ripresa italiana.
Una lotta quotidiana
Un paradosso, perché proprio della ripresa questa emergenza è figlia. Una volta terminato il periodo più duro del lockdown, la riaccensione dell’economia globale e l’eccesso di domanda hanno mandato i prezzi alle stelle. Un rimbalzo poderoso, che ha fatto emergere la fragilità strutturale dell’Europa quando si parla di energia. In attesa dell’esplosione delle rinnovabili, dell’idrogeno e un domani – chissà – della fusione nucleare, il Vecchio Continente dipende dalle importazioni di gas, il combustibile che deve accompagnare la transizione verso la green economy. Peccato che la stessa scelta sia stata fatta anche della Cina e da tutte le tigri asiatiche, per sfuggire ai fumi tossici del carbone.
Risultato: all’inizio del 2021 il gas il fossile più usato per produrre elettricità – costava in Europa 15 euro a megawattora, nel dicembre scorso il prezzo è salito fino a 180 euro. Poi, complice un inverno mite, le quotazioni si sono dimezzate, fino ad attestarsi tra 70 e 80 euro, ma comunque a un livello che solo due anni fa sarebbe stato considerato stratosferico. Dinamiche globali che nella vita quotidiana delle imprese si traducono in una drammatica lotta per far quadrare i conti.
A Padova, nella sede centrale di Acciaierie Venete, questa battaglia ha l’aspetto di un foglio di carta zeppo di tabelle e istogrammi, che il direttore dello stabilimento ed energy manager Giorgio Zuccaro tiene davanti agli occhi: sono i grafici con i valori orari di gas ed elettricità, diventati cruciali per decidere quali macchinari accendere, e quali spegnere, nel corso della giornata. Nel mare in tempesta si naviga a vista, cercando di non affondare: «I picchi fanno paura. A Natale il gas ha toccato i 200 euro al metro cubo, a casa lo pago ancora l’equivalente di 20. E così forse capiamo che il tema energia riguarda tutti», si sfoga Zuccaro. Nel 2019, per produrre 1 milione 800 mila tonnellate di acciaio l’anno, Acciaierie Venete spendeva 5,7 milioni al mese in energia, costo lievitato a 28,9 milioni ai prezzi di novembre.
Avere un manager dedicato all’energia, che prova a strappare contratti di due o tre anni a prezzi bloccati, o almeno a sfruttare le fluttuazioni al ribasso durante la giornata, è il vantaggio dei grandi consumatori come acciaierie, cementifici, vetrerie. Ma anche questo rischia di non bastare, se il rincaro durerà per tre o quattro mesi. «Non è sopportabile a lungo», dice Alessandro Banzato, presidente e amministratore delegato di Acciaierie Venete.
Il gruppo, per necessità, si è rassegnato a diminuire la produzione negli undici stabilimenti italiani: a Borgo Valsugana, in Trentino, è stato cancellato il turno dalle 14 alle 22, nella fabbrica bresciana di Sarezzo il ciclo continuo viene sospeso 2-3 ore al mattino e nel pomeriggio. E il futuro prossimo? «Si sta accendendo una spirale inflazionistica pericolosissima, che può portare fuori mercato interi settori produttivi», aggiunge Banzato, che è pure presidente di Federacciai, l’associazione di categoria. «La ripresa senza energia ce la scordiamo, si inchioda».
Sta già succedendo, a sentire il Centro Studi Confindustria, che in un rapporto appena pubblicato denuncia un calo della produzione industriale dell’1,3% a gennaio: in diversi casi, si legge nel documento, produrre non è più conveniente, una dinamica che “mette a serio rischio il percorso di risalita del Pil”.
Piccoli senza difese
Per il sistema produttivo italiano la bolletta energetica è passata dagli 8 miliardi del 2020, ai 21 dell’anno scorso, con una previsione di 37 miliardi per questo. E in mezzo alla tempesta, più le aziende sono piccole meno dispongono di strumenti, competenze e liquidità per non affondare.
Alla Serigraph di Castelfidardo, azienda marchigiana specializzata in incisione su metalli, telai per la serigrafia e lavorazioni con microlaser per l’elettronica, il fondatore Pietro Storani lo definisce “bagno di sangue”: «A dicembre è arrivata una bolletta mostruosa dell’elettricità: 19 mila euro contro gli 11-12 mila abituali. Abbiamo 19 dipendenti, è impossibile fermarsi, abbiamo consegne ogni 24 ore e nemmeno riusciamo a lavorare di notte per abbassare i costi». Sta provando a limitare al massimo gli sprechi, grazie ai «motori con inverter per avere uno spunto iniziale più basso: ma quanto puoi risparmiare, 500 euro al massimo? Non se ne esce».
Non tutte le aziende sono state impattate allo stesso modo dal rincaro record del gas, riconosce Massimo Bello, presidente di Aiget, l’associazione che rappresenta chi vende all’ingrosso metano ed elettricità. «Nel mercato libero il 70-80% dei clienti sottoscrive contratti a prezzo fisso per uno o due anni. Chi lo ha firmato a metà dell’anno scorso è avvantaggiato». Ma i problemi arrivano quando quegli accordi vanno a scadenza e devono essere rinnovati, cosa che per molti sta avvenendo in questo inizio di anno. «Partite Iva o piccole imprese non hanno questa possibilità e sicuramente stanno soffrendo. Ma gli aumenti sono stati così repentini che anche i più avveduti, che avrebbero potuto cambiare fornitore e rivedere quello esistente, sono stati colti di sorpresa. Dal 2004, da quando esiste il mercato liberalizzato, non c’era mai stata una situazione come questa».
Per il primo trimestre del 2022, il governo ha stanziato contro il caro bollette 5,5 miliardi, di cui 3,8 per le famiglie e 1,7 per il sistema produttivo. Ma per Confindustria l’intervento non basta, perché lascerebbe fuori il 70% delle piccole e medie imprese. Per questo il mondo produttivo chiede ulteriori provvedimenti. A partire dal raddoppio delle estrazioni di gas “nazionale” dai giacimenti nell’Adriatico e in Sicilia, da destinare poi a prezzo calmierato alle imprese, oltre all’utilizzo dei proventi delle aste della CO 2 per decarbonizzare i settori più energivori.
La strada delle rinnovabili
I sostegni possono aiutare ad allentare la morsa, in attesa che – come gli analisti prevedono per la seconda metà dell’anno – i prezzi tornino su valori normali. Ma da soli non bastano a risolvere i problemi strutturali nelle forniture di energia. Per quelli prova a muoversi l’Europa, con i suoi tempi lunghi, ipotizzando acquisti e stoccaggi comuni di gas. E, forse con un orizzonte più breve, anche il governo, con un piano del ministro Cingolani che dovrebbe prendere forma nei prossimi mesi.
Una soluzione più strutturale ci sarebbe: moltiplicare pannelli solari e pale eoliche installati in Italia. Energia per cui la materia prima – sole e vento – non costa. Carlo Montella, partner dello studio legale Orrick, lunga esperienza nel settore dell’energia, sottolinea la necessità di un rapporto più stretto tra industria e green economy. Potrebbe passare dai Ppa, acronimo inglese per Power Purchase Agreement: «Sempre più imprese si rivolgono ai produttori di energia rinnovabile per sottoscrivere contratti lunghi di fornitura: più lungo è il periodo, più basso il prezzo che si spunta, proteggendosi dalle fluttuazioni. Si possono avere risparmi anche fino al 40%». Una soluzione che non si limita alla grande industria: «Anche le Pmi possono ricorrere ai Ppa, creando consorzi per dividere la spesa».
Peccato che dopo un boom iniziale dovuto a incentivi più che generosi, la crescita delle rinnovabili in Italia si sia fermata, congelata da iter burocratici lunghi e farraginosi: lo scorso anno il nostro Paese è stato l’ultimo in Europa per nuove installazioni. Non solo. In un documento il mondo dell’energia verde accusa il governo per il recente provvedimento contro il caro bollette, che va a recuperare risorse dagli extra-profitti dei produttori rinnovabili che godono degli incentivi più generosi. Penalizzando cioè proprio il settore che nel medio e lungo periodo potrebbe attenuare la dipendenza energetica dell’Italia. “Tenere duro, finché possibile”
E così alle imprese non resta che provare a reggere. «Teniamo duro finché possibile, ma non credo che riusciremo a resistere a lungo a questi ritmi». Angelo Zanon ha fondato la sua azienda specializzata in minuterie meccaniche, venti dipendenti a Vazzola, provincia di Treviso, nel 1989. In 33 anni, anche lui una cosa del genere non l’aveva mai vista, neanche da presidente di Confartigianato Treviso per la meccanica: «Da un mese all’altro mi sono trovato con una bolletta salita da 15 mila a 26 mila euro, le materie prime rincarate dal 30 al 100 per cento e i clienti che pretendono ordini a sei mesi e noi obbligati a fare magazzino: per farlo siamo costretti a usare tanta liquidità e ad alzare i prezzi».
Anche lui vive il paradosso di questa ripresa, dove gli ordini arrivano ma le imprese, anziché accelerare per soddisfarli, sono costrette a rallentare: «Tra Covid, mancanza di manodopera specializzata, super bollette e materie prime alle stelle rischiamo di fermarci. E di andare fuori mercato, soppiantati dai tedeschi che sono più competitivi. Per ora stiamo assorbendo gli aumenti, solo in parte scaricati sul cliente. Ma tra un po’ salta tutto, il governo deve intervenire». Lo chiedono tutti: allentare la tenaglia, avere un supporto per attraversare la tempesta perfetta. Nella speranza che la prossima, che prima o poi arriverà, trovi l’Europa e l’Italia un po’ più preparate.