il Fatto Quotidiano, 10 febbraio 2022
Proclami e invettive di Garibaldi
Su Giuseppe Garibaldi, sempre studiato sui libri di scuola ma spesso accantonato dopo poco, i pareri si dividono generalmente tra chi lo critica per aver consegnato l’Unità del Paese alla monarchia (“Obbedisco!”, comunicò ai piemontesi che gli chiesero di fermare la sua avanzata coi Mille) e chi lo ama per il suo valore anche fuori dai confini nazionali (notissimo il suo soprannome: “L’eroe dei due mondi”).
Fare l’Italia: lettere e proclami, ultima uscita della collana “Pensiero radicale” di e/o, prova a far riscoprire la figura di Garibaldi in modo diretto, cioè attraverso la corrispondenza con Giuseppe Mazzini, Agostino Depretis e altri personaggi coinvolti nel processo di unione del Paese a metà 800. In queste missive, sobrie per stile ma popolari per temi, emergono aspetti sorprendenti; per dire: pur essendo tattico e fumantino, Giuseppe odiava con convinzione la guerra. “Ho un’antipatia nota per il mestiere del soldato: ho visto la casa paterna attorniata da masnadieri e mi sono armato per scacciarli” scriveva.
Benché non sia uno scrittore raffinato, l’“eroe”, nelle sue lettere, sfoggia nettezza e vigore intellettuali, e colpisce la foga con cui si appella alle forze dell’animo umano: “Gli uomini che tu trovi disponibile ad agire son quelli che non han pane, degli altri pochi o nessuno” appunta nel 1856 da Cuneo, facendo inoltre notare una pressoché totale mancanza di fiducia nei confronti delle classi privilegiate (“Io sono un operaio, e ne vado superbo”, sottolineava).
Personaggio stravagante, e per questo dileggiato dai moderati (“bandito feroce”, “lupo rapace” e “ladro di mare” furono alcune delle ingiurie), Garibaldi fu amato dai popoli di tutti i Paesi: dalle Americhe alla Russia, il suo nome accese la speranza degli oppressi. Del resto, la sua ideologia attingeva a figure come Dante, Machiavelli e Ugo Foscolo, intellettuali nei quali ritrovava virtù repubblicane, da lui amati proprio per la loro opposizione ai tiranni. Col tempo però emerse in Garibaldi una grande insoddisfazione per come l’Unità d’Italia concretamente si realizzò. Per la situazione del Sud e per la repressione brutale dei moti popolari, soprattutto. Nel 1863, a chi gli proponeva di dedicargli un monumento, rispondeva netto: “Finché un fanciullo manca di scuola, e l’orfano di un asilo, finché in Italia vi ha miseria, tenebre e catene, non parlate di monumento, e molto meno del mio”.