La Stampa, 9 febbraio 2022
L’India e il veto dell’hijab in classe. Proteste
Chennai. Una fiumana di ragazzi che gridano insulti sventolando sciarpe arancioni corre verso la ragazza con l’hijab: «Jai Shri Ram!», «Viva il dio Ram», urlo di battaglia dei fondamentalisti induisti. Lei, Muskan, replica con il suo «Allahu Akbar!». Intervengono le guardie della scuola per accompagnarla via dal trambusto. È accaduto ieri a Mandya, nello Stato indiano del Karnataka dove da un mese sta germogliando un conflitto interreligioso dalle mille sfumature culturali e politiche. Tutto ha inizio in un college il cui nome dovrebbe essere una garanzia di pace: «Mahatma Gandhi». A Udupi, tra Goa e il Kerala, lo scorso dicembre sei ragazze iniziano a una protesta. Non vogliono cedere alla circolare del ministro dell’Istruzione dello Stato che annuncia che l’hijab sarà proibito in classe perché vìola il codice di abbigliamento della scuola. Se si vuole entrare in aula bisogna toglierlo. Le ragazze si sistemano a studiare sulle scale della scuola. Dicono che la Costituzione indiana garantisce la libertà di osservare la religione che si vuole.
La protesta cresce. In diversi college del Karnataka sempre più ragazze con l’hijab affollano i cancelli, ma vengono respinte. Allertati dai social, i ragazzi che fanno riferimento a gruppi politici dell’estremismo fondamentalista indù calano in gruppo sui college. «Se entrano con l’hijab, entriamo con le sciarpe arancioni, simbolo della nostra fede». È un pretesto per cercare lo scontro. Intervengono gli agenti. Volano i lacrimogeni, partono le cariche. Ma gli scontri crescono. E il ministro dell’Istruzione deve sospendere le lezioni nel Karnataka per tre giorni.
«Impedire alle studentesse di indossare l’hijab è orribile», ha protestato la premio Nobel pakistana Malala Yousafzai. La contesa s’intensifica. Esemplare il caso di Almas A.H., manifestante di Udupi. «Abbiamo insegnanti maschi. Dobbiamo coprirci i capelli di fronte agli uomini. Per questo indossiamo l’hijab». È una questione di pudore religioso. Se una persona, di qualsiasi età, chiede venga rispettato il suo diritto a osservare i dettami del suo credo, la Costituzione indiana fa da garante. Così Almas, quando ha visto arrivare i ragazzi con le sciarpe arancioni, ha chiesto aiuto al Fronte del Campus India, ramo studentesco del movimento radicale islamico Fronte Popolare India. Ecco come cresce la radicalizzazione.
Gli studenti induisti fondamentalisti percepiscono l’hijab come un affronto alla loro religione. Le sciarpe arancioni sono state una sfida. Ma la differenza, forte, c’è. Da un lato c’è un’esigenza dettata da un’interpretazione del Corano, quella che le donne si coprano il capo. Dall’altra c’è la sciarpa arancione, non prescritta dai testi vedici, ma sventolata come bandiera politico-religiosa.