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 2022  febbraio 10 Giovedì calendario

La grana dei magistrati in politica

C’è una grana clamorosa, nascosta tra le righe della riforma dell’ordinamento giudiziario. E potrebbe rivelarsi deflagrante. Riguarda le famose «porte girevoli», ovvero il divieto per un magistrato di scendere in politica e poi tornare indietro alla toga.
Sulla carta, tutti d’accordo. Ma il diavolo si nasconde nei dettagli, come ha scoperto il deputato Enrico Costa, di Azione: il blocco delle porte girevoli funzionerebbe per i magistrati che si candidano e ancor di più per quelli che vengono eletti, non per quelli che sono «prestati alla politica» in quanto tecnici, anche se poi diventano ministri o sottosegretari.
Una grossa grana perché stavolta i partiti sono messi di fronte a una scelta che viene ricondotta al presidente del Consiglio in persona. «È una decisione di Draghi», così Costa s’è sentito dire quando, martedì sera, seduto di fronte alla ministra Marta Cartabia e al capo di gabinetto del premier, Antonio Funiciello, ha chiesto lumi sul perché di questo divieto dimezzato. «Il divieto vale solo per gli eletti» è la spiegazione che gli fornito la Guardasigilli.
E dunque, al momento, nel testo della riforma del Consiglio superiore della magistratura ritoccato da Cartabia l’interdizione non varrebbe per quei profili più tecnici che, senza passare dal voto, pure partecipino attivamente a governi politici e a giunte regionali o comunali. Un distinguo che non piace ai partiti perché si renderebbe impossibile tornare in magistratura ad un semplice consigliere di opposizione, ma non a chi ha costruito una carriera nelle istituzioni all’ombra della politica e magari occupa posizioni di primissimo piano. «La commistione esce dalla porta e rientra dalla finestra», protesta Costa.
A sentire le ricostruzioni di queste ore, insomma, sarebbe stato Draghi a decidere così. Il che ha alimentato un sospetto che circolava già da tre giorni tra i partiti, ovvero da quando, lunedì, arrivata a Palazzo Chigi, e prima di vedere il premier, Cartabia si è a lungo soffermata con il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Roberto Garofoli per studiare le modifiche alla riforma del Csm.
Il sottosegretario Garofoli ha infatti un curriculum lunghissimo di esperienze nei ministeri, ma è anche un prestigioso giudice amministrativo. Un classico caso di tecnico che attraversa la porta girevole. Ai tempi del governo gialloverde, dopo la campagna che M5S e Lega scatenarono contro di lui a fine 2018, quando si dimise da capo di gabinetto del ministero dell’Economia, non a caso tornò al Consiglio di Stato a ricoprire il ruolo di presidente di sezione. E lì è rimasto fino al 13 febbraio 2021, quando Draghi lo ha chiamato accanto a sé a Palazzo Chigi con il ruolo di sottosegretario alla Presidenza.
Le malignità girano, dunque. E fonti di palazzo Chigi smentiscono seccamente che ci sia stato un interesse particolare a favorire il sottosegretario: lo proverebbe il fatto che la legge non ha effetti retroattivi. Eppure il sospetto dilaga tra le forze politiche che sostengono la maggioranza. Dentro la Lega, il M5S, Azione e Forza Italia si sono convinti che così facendo Draghi asseconderebbe una difesa corporativa. «Ma come può essere accettabile che il potere giudiziario stia dentro il potere esecutivo con capacità legislative?» si chiede Costa.
Il silenzio sui ministri o sottosegretari o assessori regionali «tecnici» è un passaggio che durante i colloqui con Cartabia era sfuggito al M5S, nonostante fosse stato proprio Alfonso Bonafede, quando era al posto di Cartabia, a rendere vincolante la regola dell’incompatibilità, anche per gli alti burocrati. I grillini sono soddisfatti che sulle porte girevoli la ministra abbia confermato l’impianto della «loro» riforma, ma su questo punto vogliono vederci chiaro e potrebbero convergere nella battaglia dei sub-emendamenti.
Le stesse preoccupazioni agitano Forza Italia. «Condivido totalmente l’appunto dei colleghi – spiega il capogruppo di Fi in commissione Giustizia, Pierantonio Zanettin –. Si può discutere dei capi di gabinetto, ma do per scontato che chi fa il ministro o sottosegretario sia da trattare come un politico che è stato eletto. Anzi, ha ancora più peso». Per i berlusconiani va anche rivista la parte che riguarda la legge elettorale, un altro capitolo sul Csm che non soddisfa quasi nessuno, con l’eccezione del Pd, perché non frena lo strapotere delle correnti: «Di fatto, il sistema del maggioritario con recuperi proporzionali reintrodurrebbe le liste dei candidati collegate. Per questo – avverte ancora Zanettin – finché non vedremo un testo scritto, non autorizzeremo la delegazione dei nostri ministri a votare la riforma».
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