il Fatto Quotidiano, 8 febbraio 2022
Su "Storia stupefacente della filosofia. Oppio, Lsd e anfetamine da Platone a Friedrich Nietzsche" di Alessandro Paolucci (il Saggiatore)
Jean-Paul si fa di amfetamine, whisky, mescalina e barbiturici, ma – per lui – i veri “drogati” sono gli italiani, “intossicati dai loro centoquaranta chili di pasta all’anno”. Ernst ha un caro amico in Svizzera, precisissimo: oltre a fargli gli auguri di compleanno, puntualmente gli invia anche “graditi doni, soprattutto le droghe”. Michel, invece, è figlio di un medico: più che la salute, gli interessa ingurgitare tutte le pasticche del “padre chirurgo per verificare fino a che punto modifichino il pensiero”. Sartre, Jünger, Foucault: che tossici, questi filosofi. Li racconta ora, con gusto e divertimento, Alessandro Paolucci nella sua Storia stupefacente della filosofia, in libreria da giovedì con Il Saggiatore.
“Oppio, Lsd e anfetamine da Platone a Friedrich Nietzsche” recita il sottotitolo e, in effetti, il catalogo dei lisergici pensatori è lungo: primo viene Platone con le sue ombre allucinate e luci dalla caverna. Pare che le sue visioni siano “influenzate da un trip psichedelico”, scatenato da un drink psicotropo – il “ciceóne” – a base di cereali, menta e un ingrediente segreto (un allucinogeno, forse il fungo parassita che fa la segale cornuta) da trangugiare durante le cerimonie iniziatiche dei Misteri eleusini. Dalla Grecia a Roma, l’imperatore filosofo Marco Aurelio si scola ogni giorno un intruglio di erbe, spezie e oppio invecchiato nel vino, “una bomba di nome teriaca”, dal greco therìon, “bestia selvatica, animale velenoso”, ovvero la carne di vipera, già consumata da Nerone, quasi un secolo prima, per curarsi (sic) e immunizzare dai veleni. Anche il dottor Sigmund Freud confonde la droga con una medicina, sperimentando su se stesso i presunti effetti terapeutici della cocaina, salvo poi diventarne dipendente. Vero è che la polvere bianca azzanna la depressione e annulla le ossessioni derivate da altre sostanze, ma crea a sua volta una perniciosa assuefazione.
I filosofi – si sa – amano a tal punto la “gaia scienza” da venirne sedotti e abbandonati: “Questa sera prenderò tanto oppio da perdere la ragione”, scrive a un amico Friedrich Nietzsche dal suo buen retiro all’Hotel della Posta di Rapallo. Non così bueno, in realtà: l’intellettuale soffre di “emicrania lancinante, vomito e una depressione da suicidio”. Perciò si consola con farmaci oppioidi, cloralio, sonniferi e, talvolta, hashish. Di quest’ultimo il vero esperto e cultore è Walter Benjamin, uno che “va bene per tutti”, in particolare “per la filosofia fricchettona che lo scambia per Herman Hesse perché entrambi hanno assaggiato un po’ di droga” (© Cesare Cases). Hai voglia, poi, a vedere “Angeli” dappertutto. Intanto, un suo collega tedesco manda una affettuosa lettera in Svizzera: “Gentilissimo signore, la ringrazio di cuore per i gentili auguri, così come per i graditi doni, soprattutto per le droghe”. Il mittente è Ernst Jünger, il destinatario Albert Hofmann, lo scienziato che aveva scoperto l’Lsd ed era diventato così amico di mezza Europa, intellettuali e artisti in primis: la teoresi e la creatività devono essere ben alimentate e costantemente rifocillate.
Il più ligio nel seguire la dieta è Jean-Paul Sartre, l’esistenzialista rigoroso, che ogni giorno si cala “due pacchetti di sigarette; numerose pipe di tabacco scuro; più di un litro di alcool, tra vino, birra, whisky, eccetera; duecento milligrammi di amfetamine; quindici grammi (sic) di aspirina; parecchi grammi di barbiturici, senza contare i caffè, i tè e i vari grassi della sua alimentazione quotidiana”. A questo regime va aggiunto il consumo sporadico di mescalina, che gli fa vedere “ombrelli, avvoltoi, scarpe, scheletri, facce mostruose; e ai lati, dietro, brulicanti granchi, polpi, cose sogghignanti”. Tutto a posto: Sartre è in ottima salute; per lui, piuttosto, i veri “drogati” sono “gli italiani intossicati” dalla pastasciutta. Restando in Francia, altro spericolato sperimentatore è Michel Foucault, favorevole a ogni tipo di stupefacente, fin dall’adolescenza: figlio di un chirurgo, ama svaligiare l’armadietto dei farmaci di papà per vedere l’effetto che fa. Dopo molte sperimentazioni con pillole legali, passa alle sostanze illecite: alla fine, opta per l’Lsd, l’usato sicuro.
È bravo l’autore – comunicatore e star dei social con l’umile account di @Dio – ad affabulare questa storia di speculazioni e allucinazioni, tropi e trip, metafisica e ultracorpi: il suo obiettivo è quello di sfatare il falso mito della “santità” dei filosofi, esibendo al contrario il loro talento “umano, troppo umano” per lo sballo, gli abissi dell’inconscio, la trance della mente, il salto nel vuoto della razionalità, la dimensione “dionisiaca”, insomma, accanto a teorie e proclami “apollinei”. Nel gioco tra alto e basso, Paolucci talvolta esagera però con le baggianate, come il “Platone in missione per conto della verità… come i Blues Brothers” o il Nietzsche “a metà tra Dr. House e Marilyn Monroe”.
Chiude infine il saggio uno dei più saggi e ascetici pensatori del Novecento, forse il più incisivo di tutti, per spessore ed eredità: Ludwig Wittgenstein. Lui “non si droga”. Però picchia i bambini.