Corriere della Sera, 9 febbraio 2022
Il colloquio disastroso tra Macron e Putin
KIEV Che gelo. A mezzogiorno, Emmanuel Macron s’accomoda a colloquiare col presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Sull’aereo da Mosca, ha appena raccontato d’avere strappato a Putin un impegno a non muovere altre truppe. Ed ecco che gli arrivano subito secchiate di ghiaccio. Mosca nega di aver fatto promesse sul ritiro dalla Bielorussia, pur affermando che le manovre sono temporanee: «Non è lui il leader della Nato – lo frizza un portavoce del Cremlino – e quindi non può esserci alcun accordo sulla de-escalation militare». «Ben venga il dialogo – lo surgela Dmitry Kuleba, ministro di Kiev —, ma nessuno può venire qui e obbligarci a superare la linea rossa». Dopo tre ore con Zelensky, sono le facce a dir più delle parole. Russi e ucraini non si smuovono. E l’unico risultato della maratona del presidente francese è scontato: «Bisogna applicare in concreto gli accordi di Minsk». Ovvero quel doppio protocollo che francesi e tedeschi fecero firmare nel 2015. Che nessuno ha mai rispettato. Che Kiev considera troppo favorevole a Mosca. E che Mosca ritiene tradito da Kiev.
I tavoli dei due appuntamenti di Macron spiegano già tutto: un banco lunghissimo e al limite dell’incomunicabilità, lunedì nei saloni imperiali del Cremlino; un tavolino circolare, giusto per appoggiarvi cartellette e pc, ieri nella saletta barocca di Palazzo Marinskij. Le formule usate sono quanto mai vuote. La «grande unità» ostentata a Washington dal presidente Joe Biden e dal cancelliere tedesco Olaf Scholz, inesistente quando si tocca il tema del gasdotto Nord Stream 2, fa il paio col «desiderio d’evitare un’escalation» di Putin o la «disponibilità» di Zelensky ad andare a Mosca. Macron s’è mosso da presidente di turno Ue e per portare a quei tavoli «la linea europea», fa notare il nostro ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, e anche sul fronte europeo «non ci può essere spazio per l’ambiguità», dice il leader pd Enrico Letta. Ma i fatti invocati dal presidente francese? «Non mi fido delle parole», risponde il presidente ucraino, e in effetti Minsk è solo un documento: in 7 anni, il cessate il fuoco nel Donbass non è mai stato rispettato, il ritiro d’armi ed eserciti non s’è mai visto, l’autonomia ai filorussi non è mai stata concessa, tanto che lo stesso inviato americano all’Osce, Michael Carpenter, ammette: «ci stiamo dimenticando di Minsk». Dimenticare Minsk significa ricordarsi il passato? «È il 1938 della nostra generazione», dice la premier lituana Ingrida Symonite: «Quel che Putin non farà mai è anticipare le sue intenzioni. E la neutralità aiuta gli aggressori». La ministra tedesca Annalena Baerbock va 40 minuti sul fronte del Donbass, «situazione drammatica». Kiev inizia domani le manovre militari, in risposta a quelle russe. Da Odessa, i familiari dei diplomatici russi tornano a Mosca. E lo yacht di Putin ormeggiato da mesi ad Amburgo, il «Graceful», 82 metri di lunghezza e 87 milioni di valore, salpa per il Baltico. Lontano dalle sanzioni, se ci saranno. In acque sicure, se si sparerà.