la Repubblica, 9 febbraio 2022
Sorrentino in viaggio verso l’Oscar
«È un viaggio che voglio fare con leggerezza, ironia e tranquillità», racconta Paolo Sorrentino in un incontro improvvisato da casa via Zoom, «mi piaceva esserci, una volta può essere un caso, due no». Il viaggio è quello verso l’Oscar: È stata la mano di Dio
è entrato nella cinquina dei film internazionali, come successe nel 2014 con La grande bellezza, che poi vinse. «Stavolta non me lo aspettavo, ci speravo – sorride – e mi commuovo perché è un riconoscimento prestigioso ai temi del film, che sono le cose in cui credo: l’ironia, la libertà, la tolleranza, il dolore, la spensieratezza, la volontà, Napoli e mia madre».
L’Italia è in corsa anche con Massimo Cantini Parrini (già nominato nel 2021 per Pinocchio, di Matteo Garrone) per i costumi di Cyrano e con Enrico Casarosa per la regia del cartoon Disney Luca. Legati al nostro Paese anche i film favoriti: hanno debuttato alla Mostra di Venezia The power of the dog, western atipico e racconto di mascolinità tossica, 12 candidature tra cui la regia per Jane Campion (la seconda volta dopo Lezioni di piano), Dune di Denis Villeneuve, che ha incassato assai malgrado l’uscita contemporanea su piattaforma (cosa che non è successa al West Side Story di Spielberg, sette candidature), The lost daughter con tre candidature, tratto dal romanzo di Elena Ferrante, e Madres paralelas
di Pedro Almodóvar con due. Anche Kenneth Branagh è a quota sette con Belfast, passato per la Festa di Roma e anche premiato come regista ad Alice nella città. Le candidature seguono il disegno di rinnovamento in atto all’Academy, con inevitabili polemiche sul politicamente corretto e i giochini sulle sorprese e gli snobbati: prima candidatutura per Kristen Stewart con Diana, l’esclusione di Lady Gaga e Jared Leto per The house of Gucci, di Jennifer Hudson – Aretha Franklin, di Leonardo DiCaprio per Don’t look up e di Bradley Cooper per Licorice pizza
di Paul Thomas Anderson che per Sorrentino è «un capolavoro, con un tasso di leggerezza e di emozione difficile da raggiungere».
Sottolinea, Sorrentino, come quest’anno la lotta per il film internazionale (una volta “straniero”) sia dura: «La qualità è altissima, è rimasto fuori Un eroe di un autore come Asghar Farhadi. Inutile girarci intorno, il favorito è il giapponese Drive my car», di Ryûsuke Hamaguchi, in corsa per quattro premi. «Ma io – spiega il regista napoletano – sono più a mio agio nel non essere favorito. Lo ero ai tempi de La grande bellezza e la cosa mi metteva in soggezione. Invece mi piace partire dalla panchina con un film che mi ha commosso scrivere, girare, montare. Quindi non esulto ma gioisco e mi commuovo». Nella cinquina ci sono anche il danese
La persona peggiore del mondo di Joachim Trier (candidato anche per la sceneggiatura), Flee di Jonas Poher Rasmussen (in corsa anche per animazione e documentario), Lunana: a yak in the classroom
di Pawo Choyning Dorji del Bhutan. Cerimonia fissata il 27 marzo, «se mi invitano vado volentieri – dice Sorrentino – rispetto al 2014 sono invecchiato, come tutti. Il rapporto con le cose per fortuna è meno nervoso, più pacificato ed è un grandissimo sollievo, tra i pochi benefici dell’avanzare dell’età. Non significa che sono meno appassionato, ma che sono più fatalista, pronto a quel che viene, nel bene e nel male. Senza cruccio».
Quest’anno la campagna promozionale è stata dura, «il Covid ha reso tutto più difficile, meno divertente. Ma se ci sono da fare incontri li farò». Dall’esperienza del 2014 ha imparato che «non esistono formule, si tratta di circostanze, anche fortuite, che determinano il risultato. Mi fanno sorridere i detrattori, parlano di film concepiti per l’Oscar, non è possibile». Che sia stato lui, dopo otto anni, a riportare l’Italia in cinquina «non significa che i nostri candidati degli scorsi anni non lo meritassero». Di sicuro a sostenerlo ci sarà Robert De Niro, che ha firmato una bella recensione di È stata la mano di Dio:
«È stata felicità pura, per me e la mia generazione De Niro è una divinità. Ed è citato nel film, Fabietto insegue l’idea di vedere C’era una volta in America:
è un bel gioco che si compie, il me grande ha potuto incontrarlo e lui ha scritto di un mio film. È come essere incoronati da un re del cinema».