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 2022  febbraio 09 Mercoledì calendario

Intervista a Gherardo Colombo. Parla di Mani Pulite


Milano. Ormai quasi oggetto di una damnatio memoriae, la vicenda di Mani Pulite, di cui il prossimo 17 febbraio si celebra il trentennale, rimane una grande questione italiana irrisolta, non tanto per gli esiti – scolpiti in decine di sentenze – quanto per i problemi sollevati che, al di là del clamore mediatico, ancora infestano la nostra vita pubblica: il rapporto tra politica e magistratura e il rapporto tra il potere e la corruzione. Così almeno la pensa uno dei protagonisti di quegli anni, l’ex giudice Gherardo Colombo, che rispetto agli altri componenti originari del pool che indagò su Tangentopoli, verso il codice penale e la sua procedura, compresi gli strumenti coercitivi come il carcere, ha sempre avuto un atteggiamento critico.
Dottor Colombo, Mani Pulite fu un disegno di potere portato avanti da alcune procure violente?
«Proprio per niente: Mani Pulite è stata un’indagine condotta seguendo in modo pedissequo le regole dell’epoca».
Che portarono agli eccessi carcerari di cui molti ancora vi accusano.
«Forse contestualizzare aiuta. Per anni siamo stati accusati di aver abusato della custodia cautelare, di averla usata per “far parlare”. Ma mettiamoci di fronte alla gravità dei reati che via via scoprivamo, al pericolo concreto di inquinamento della prova e di reiterazione dipendente dall’esistenza di un vero sistema di corruzione legato al finanziamento illecito, e paragoniamo la mole delle nostre richieste al giudice perché applicasse la custodia cautelare con il numero delle persone quotidianamente arrestate a Milano per reati di strada; consideriamo quanta documentazione abbiamo raccolto sui reati contestati; osserviamo quante volte la corte di Cassazione ha censurato i provvedimenti del gip (non ne ricordo) e forse si vede il tutto con occhi diversi. Già solo questo paragone ridimensionerebbe, e di molto, la questione».
Secondo i revisori critici, mancò il rispetto delle regole.
«Ora sembra che il tema della custodia cautelare non interessi più molto. Ora mi pare che l’accusa riguardi i fatti: i reati ce li saremmo inventati noi. Allora si vada a vedere la montagna di documenti bancari e societari, tra cui le transazioni finanziarie estero su estero, le agende, gli appunti che “fotografavano” i movimenti illeciti di denaro e il loro perché. A volte mi viene il sospetto che le aggressioni alle indagini di Mani Pulite dipendano da una inconscia ripulsa verso l’applicazione della legge penale al di fuori dai reati di sangue e da quelli da strada. La rivendicazione inconsapevole che una fascia della società, non solo della politica, debba essere esonerata dal controllo».
Però avete ghigliottinato un’intera classe politica.
«A parte che non abbiamo ghigliottinato niente e nessuno, ci siamo trovati di fronte a decine di migliaia di reati. Cosa dovevamo fare, girarci dall’altra parte? Una soluzione l’avevo proposta, ma è stata lasciata cadere nel nulla».
Ne parleremo. Ci sono state alla fine anche tante assoluzioni o prescrizioni.
«Non c’è dubbio, molte posizioni si sono risolte dopo condanne in primo e secondo grado grazie ai termini di prescrizione dimezzati per legge in corso d’opera o al cambio in corsa di altre regole essenziali. Il falso in bilancio è stato sottoposto a un dimagrimento forzoso, altrettanto è successo per l’abuso di ufficio. E così non poche condanne si sono trasformate in prescrizioni o in assoluzioni “perché il fatto non è più previsto come reato” (che vuol dire che quando è stato commesso lo era)».
Rapporto tra politica e magistratura: perché non si riesce a venirne a capo?
«È evidente quanto funzioni male il sistema penale, quello in cui sono vissuto oltre trent’anni. Alcune disfunzioni dipendono da motivi strutturali (notevoli carenze di organico, per esempio). È necessario porvi rimedio e mi pare che sia stato assunto un impegno serio in questa direzione. A mio parere, però, è necessario che si esca dalla centralità del sistema penale: il ricorso al processo dovrebbe essere marginale e la pena dovrebbe essere uno strumento residuale completamente scevro dal senso di vendetta».
Dunque, meglio affidarsi alla politica?
«Vede, non possiamo neanche dire che funzioni bene il complesso delle istituzioni che generalmente viene identificato nella “politica”. Credo che ci sia un problema a proposito dell’applicazione del principio della divisione dei poteri; mi pare che da parte della “politica” esista una certa insofferenza generale all’esercizio del controllo dei comportamenti devianti dei singoli da parte della magistratura; e che talvolta nella magistratura i principi di autonomia e indipendenza si trasformino in insofferenza al principio di responsabilità. Forse potrebbe aiutare riflettere sullo scopo e sugli strumenti idonei a raggiungerlo».
Ovvero?
«Un equilibrio tra le varie funzioni (separate ed autonome, secondo un principio cardine dello stato di diritto, della democrazia), che a mio parere necessita anzitutto di consapevolezza e cultura condivisa, che implica tanta scuola».
Con la sua idea Mani Pulite si sarebbe potuta fare?
«Bisogna intendersi sul senso delle parole, se per “mani pulite” intende lo svelamento del sistema della corruzione credo proprio di sì. Era il senso dell’idea che espressi già nel 1992: raccontare quel che è successo, restituire ciò di cui ci si è appropriati, allontanarsi dalla vita pubblica per un certo numero di anni avrebbe potuto essere uno strumento per svelare e riparare in parte i guasti e per evitare processo e carcere. Regola semplicissima, se l’idea fosse stata coltivata saremmo usciti da Tangentopoli per davvero in tempi ragionevoli. Avremmo potuto far emergere del tutto il sistema della corruzione con conseguenze assai meno pesanti per le persone coinvolte».
Perché non se ne parlò più?
«Non se ne fece nulla proprio perché, a mio parere, avrebbe consentito di svelare completamente il sistema. Cosa che non è avvenuta e di cui, secondo me, continuiamo a portarci dietro l’eredità».
Il Cardinal Martini definì Mani Pulite «il nostro passaggio nel Mar Rosso» verso la liberazione. Davvero è stato così?
«Purtroppo non mi pare. Questo è il Paese del gattopardo, tutto cambi perché nulla cambi. No, non è stato attraversato il Mar Rosso. Vogliamo sintetizzare le conseguenze di Mani Pulite? Sono finite le indagini ma non è finita la corruzione. La sfiducia cresce vorticosamente, il tessuto sociale è liso, logoro, consumato».
Siamo senza rimedio?
«Un rimedio esiste: bisognerebbe investire tanto, e nel modo appropriato, nella cultura e nell’educazione, nella scuola, nella formazione delle persone, dei giornalisti, dei magistrati, della pubblica amministrazione. Il presidente Mattarella, nel discorso di insediamento, ha fatto una lezione sulla dignità, che è la parola fondativa della Costituzione. La Costituzione è la nostra prima legge, se non cerchiamo di rispettarla mettendo al primo posto il riconoscimento universale della dignità umana e la pratica della solidarietà sarà ben difficile guardare al futuro con speranza». —