la Repubblica, 9 febbraio 2022
Marx a Berlino
ERLINO Già il titolo, Marx e il capitalismo, sembra tradire un’ambizione colossale. Può una mostra raccontare il filosofo che più di ogni altro ha condizionato il Novecento e un sistema economico che, suo malgrado, gli è sopravvissuto e domina incontrastato il mondo contemporaneo? Il Deutsches Historisches Museum di Berlino non è nuovo a sfide epocali – negli anni Duemila organizzò una mostra su Adolf Hitler di cui si parlò per anni – ma stavolta ha scelto un percorso interessante per raccontare l’ideologo del comunismo e della lotta di classe. Undici persone accompagnarono il feretro di Karl Marx nel cimitero di Londra, il 14 marzo del 1883. Prima che il partito comunista inglese gli dedicasse un monumento, soltanto una tomba adorna ricordava il grande pensatore di Treviri. E la scelta dei curatori è stata quella di distogliere i riflettori dal Marx novecentesco, dall’icona rinchiusa da Engels e dagli esegeti successivi in un sistema coerente, sistematizzato. E di accendere i riflettori sul Marx dei frammenti, delle contraddizioni e dei percorsi tortuosi attraverso i movimenti rivoluzionari e le inquietudini sociali dell’Ottocento. Il Marx dei contemporanei. La mostra espone (fino al 21 agosto) i suoi carteggi con un pioniere del sionismo come Moses Hess ma anche le cronache ferocemente antisemite di un giornalista viennese che Marx ospitò sul giornale che dirigeva, la Rheinische Post. Nelle vetrine compaiono le sue dispute con il socialista Proudhon ma anche uno stupendo disegno di metà secolo che lo ritrae come un moderno Prometeo. Le tavole sulla Comune di Parigi sono accompagnate da un nastro che suona “Il tempo delle ciliegie”, la leggendaria canzone che simboleggiò per sempre quella rivoluzione fallita. E al centro di una delle sale troneggia un enorme telaio modello “Jenny”, uno strumento di lavoro che dopo la rivolta dei tessitori in Slesia simboleggiò per Marx e gli utopisti dell’epoca, ma anche nel naturalismo tedesco e nelle opere di Hoffmann, il sudore di una nuova classe operaia repressa dall’avidità dei padroni. Per la curatrice, Sabine Kitter, «il senso è stato quello di mostrare che non c’è stato un solo Marx, ma tanti Marx. E non soltanto per la sua ecletticità, per il fatto di essere un giornalista, filosofo, economista. Abbiamo cercato di raccontare la genesi di un conglomerato teorico complesso e, non di rado, contraddittorio come il suo. Molti non sanno, ad esempio, che Marx si è battuto molto per i diritti sociali delle donne. Ma che non aderì mai ai movimenti per la loro emancipazione politica». Le fa eco lo studioso Juergen Herres, che ha passato anni sui manoscritti del fondatore del comunismo e ha collaborato all’esposizione: «Pensate che l’autore del Manifesto del partito comunista spiegò un giorno a quattro sindacalisti che per lui i partiti erano una moda passeggera. Ma una cosa è certa e ha contribuito a garantirgli la sopravvivenza ad oggi: il suo grande merito fu quello di capire che un sistema prevalentemente economico è un problema, per la politica». Appena si entra nelle sale espositive, quasi come un prologo, appaiono numeri e sondaggi che testimoniano l’intramontabilità del suo pensiero. Il 43% dei tedeschi è ancora convinto che la sua critica al capitalismo sia utile per capire l’economia contemporanea. Tra i giovanissimi è persino il 60%. Ma se la teoria sul plusvalore o gli scritti sull’alienazione possono essere griglie utili per interpretare il capitalismo dei giorni nostri, un terzo dei tedeschi pensa anche Marx che abbia spianato la strada a totalitarismi e violenze nel Ventesimo secolo. In ogni caso resta vero ciò che disse una volta il grande sociologo Ulrich Beck, «Marx, de-marxizzato, è nella bocca di tutti».