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 2022  febbraio 08 Martedì calendario

L’inerzia di Bastianini

ROMA – “Questione di feeling”, come cantavano Riccardo Cocciante e Mina tanti anni fa. Ovvero, problemi di comunicazione, di personalità e di strategia. Queste le radici dell’incompatibilità tra l’ormai ex-amministratore delegato del Monte dei Paschi di Siena Guido Bastianini e il Tesoro, azionista di maggioranza del grande malato della finanza italiana, a detta di chi ha seguito la situazione da vicino. A dire, il vero, il feeling tra il Ministero dell’Economia e delle Finanze dell’amministrazione Draghi e Bastianini, nominato dal governo Conte nel 2020 su indicazione del Movimento 5 Stelle, non c’è mai stato. Ma il casus belli che ha portato al divorzio di ieri è stato l’incontro di fine gennaio tra l’alto dirigente e i vertici del Tesoro, tra cui il direttore generale Alessandro Rivera e il capo di gabinetto Giuseppe Chinè. Alla richiesta di fare un passo indietro, Bastianini rispose che voleva prendersi qualche ora per rifletterci salvo poi, secondo fonti attendibili, inabissarsi e non rispondere più alle chiamate del suo azionista di riferimento. Problemi di comunicazione, appunto. Una politica del silenzio, quella dell’ad, che ha esacerbato tensioni già esistenti sia sul fronte personale sia su quello strategico. Sul fronte personale, in ambienti ministeriali si rimprovera al manager maremmano un’eccessiva rilassatezza che, a detta dei suoi detrattori, si è spesso trasformata in inerzia. Una mancanza d’energia propositiva che è parsa evidente anche agli importantissimi interlocutori europei di Mps. Chi ha partecipato alle riunioni tra i vertici dell’istituto senese e i rappresentanti dell’Unione Europea, che devono giudicare il piano industriale della banca, racconta di un ad che diceva poco o nulla, costringendo proprio gli emissari del Mef a riempire il vuoto. Come se non bastasse, le voci di corridoio dicono che anche in consiglio d’amministrazione, l’ex capo di Carige non si facesse sentire molto, confermando i timori sulla debolezza di questa gestione. Se l’ad pensava di far parlare i risultati, anche qui la sua strategia non è andata a buon fine. L’insoddisfazione ministeriale viene anche dal giudizio che il progresso, finanziario e industriale, di Mps nei quasi due anni di regno di Bastianini non sia stato sufficiente. Certo non sufficiente ad essere approvato da Bruxelles o a servire come piattaforma di lancio per un aumento di capitale ormai necessario. Rimane il dubbio che Bastianini abbia sottovalutato la portata dell’insoddisfazione nei suoi confronti o che abbia pensato che i “tecnici” del ministero non avessero la copertura politica per farlo saltare. Un errore di giudizio, visto che, in questo governo, decisioni tecniche e politiche sono spesso compagne di strada, soprattutto quando si tratta di società ad ampio controllo statale. Quel che resta da decidere, in questa curiosa storia di finanza e di potere, è cosa spetterà a Bastianini in uscita – questione da negoziare con il cda guidato dal suo successore Luigi Lovaglio – e, tema correlato, eventuali strascichi giuridici se e quando il manager deciderà di adire le vie legali. Nel frattempo, la banca non ha perso tempo a “cancellare” Bastianini: chi clicca sulla sua biografia ufficiale sul sito del Mps ora trova solo una pagina bianca con la scritta: “in corso di aggiornamento”.