Il Messaggero, 8 febbraio 2022
Storia dell’insalata russa
Nelle grandi cene è uno degli antipasti più ricorrenti. Ma lo è anche alla vigilia di San Valentino quando ognuno cerca (o teme) conferme d’amore. È infatti un comfort food tra i più amati, preparato da fior fiori di cuochi stellati o più banalmente assemblando verdure congelate nel freezer. Avvolto nella vellutata maionese fatta in casa o piuttosto in quella industriale o artigianale, è sempre un piatto buono da mangiare e da pensare.Stiamo parlando dell’insalata russa. Ma si chiama davvero così? La scrittrice Letizia Muratori nel suo delizioso Insalata russa (Slow Food Editore) passa in rassegna il turbinio dei nomi con cui è identificata in Europa: «In Danimarca, Norvegia e Finlandia è insalata italiana, in Germania a volte è insalata Olivier, altre volte insalata italiana, in Russia e Iran insalata di Oliver, in Olanda insalata degli Ussari, in Lituania insalata bianca, in Croazia, Slovenia e Ungheria insalata francese, in Romania salata boeuf». La vera verità la svela lo chef stellato Matteo Baronetto che dedica un capitolo del suo recente Cucina piemontese contemporanea (Edt, 194 pagine, 25 euro) al tema. «Sebbene scrive – sia considerato un caposaldo della cucina tradizionale italiana, questo antipasto deve le sue origini alla Russia dove, però, viene chiamata insalata Olivier, dal nome di Lucien Olivier, di origine belga che la inventò. Si diffuse in Italia alla fine dell’Ottocento».Olivier, cuoco del lussuoso Hermitage di Mosca fatto chiudere dai Soviet, era così geloso della ricetta, da preparare l’insalata senza alcun assistente e in una stanza a lui riservata.Baronetto non ha segreti e confronta le due versioni classiche. «Rispetto a Milano racconta – a Torino preferiscono meno maionese e le verdure tagliate un po’ più grosse, le vogliono sentire. Il passaggio a cui prestare tanta attenzione è quello della maionese: bisogna fare attenzione a dissalare il giusto i capperi, che non devono essere quelli conservati in salamoia. Poi è pure importante la cottura delle verdure, che deve essere veloce perché restino croccanti e con i loro colori belli vivi». Baronetto serve le uova sode come guarnizione in un piattino a parte con le acciughe. Tanto facile da fare in casa, l’insalata russa diventa campo di sperimentazione dei grandi chef: Christian Milone la trasforma in un purè di patate, crema di carote, piselli, germogli e salsa rossa; Enrico Crippa fa prevalere la barbabietola in panna, tabasco e salsa di Worcester; Andrea Ribaldone ci riempie un cannolo e Niko Romito cuoce le verdure in acqua acidulata. Sono solo alcuni esempi.
Il più noto, ormai simbolo della moderna grande cucina italiana al pari di un Risotto alla foglia d’oro di Marchesi, è l’Insalata russa caramellata di Carlo Cracco, piatto di cui tra poche settimane vengono celebrati i 20 anni. «Il problema dell’insalata russa racconta Cracco – è uno solo, che dopo la prima cucchiaiata diventa un po’ stucchevole, quindi va consumata in piccole quantità. Perciò, seguendo questo ragionamento, vent’anni fa ne abbiamo preso 30 grammi e ci siamo detti che dovevamo servire giusto quella dose. Poi, grazie alle tecniche e a nuovi prodotti, siamo riusciti a inglobarli all’interno di due piccoli dischi di zucchero da prendere con le mani».